Che conseguenze ha avuto la quarantena sugli dei? A due anni dalla pandemia, Manfredi Perego partecipa a MilanOltre con una duplice rielaborazione del portato emotivo provocato dall’isolamento. Il senso di smarrimento declinato sul piano del divino e dell’umano. Una dea bloccata nel suo personale limbo, senza più riferimenti e fuori dalle sue abitudini, si manifesta sulla scena (Totemica); al turbamento sovrumano della divinità, fa da contraltare il crollo tutto umano dell’individuo (Ruggine). Ne risulta un percorso intimo e privato, scandito da fragilità e inquietudini e segnato da violenza e vergogna.
Totemica
Immobile, statuaria, totemica. Chiara Montalbani, la danzatrice che, sola in scena, interpreta la nuova creazione di Manfredi Perego, ha un palmo premuto sul grembo; con l’altro si avvolge il seno, mentre in sala è calato il silenzio. Come un fermo immagine, la posa della dea mette in pausa per lunghi attimi il flusso rapido di questa liturgia della dispersione – termine con cui l’autore stesso ha definito la sua creazione.
La sequenza cerimoniale si svolge nel mezzo di un cerchio d’erba. Delimitato da due verdeggianti strisce oblique, il simbolo sacrale dà rilievo alla doppia dimensione in cui vaga la disturbata divinità, sospesa tra sacralità e natura: una probabile reminiscenza del movimento istintivo indagato da Perego a stretto contatto con i suoi boschi. Meccanica, robotica, dai tratti ora marziali ora marcatamente femminili, Montalbani è una e molteplice. Semplice nel vestire — un top color carne e pantaloni neri — orientaleggiante nell’incedere, come Shiva, esplora lo spazio con una sensibilità che anela al sovrumano. La musica di Paolo Codognola attraversa i tempi e gli spazi — dalle strade, ai guaiti dei cani, le risate dei bambini, le note di un pianoforte, lunghi silenzi. Rumori ambientali più che colonna sonora, accompagnano tutte le fasi dell’inchiesta divina.
Il cerchio viene sperimentato lungo tutti i suoi piani, dalla terra al cielo, attraversati nella loro ampiezza; la dea lo percorre nelle sue diverse dimensioni; lo scandaglia in ogni senso, orario e antiorario. Braccia e gambe si muovono nello spazio circostante come a sondarlo, a spostare la materia invisibile che lo compone. Linee dritte o spezzate, neanche la verticalità viene trascurata: nei suoi movimenti di ricerca Totemica non trova risposte ai molteplici interrogativi che sembra porsi. Si rannicchia su sé stessa per poi sbocciare lentamente in tutta la sua altezza, o cambiare repentinamente rotta con scatti e passi imprevisti, non preannunciati. Eppure, non fuoriesce mai: il cerchio resta misura di ogni cosa, dettame per le sue continue e variegate rotazioni, involuzioni, perimetro della sua ricerca. Un limbo individuale e invalicabile.
La ricerca estenuante per un ubi consistam culmina nell’immagine di una divinità che boccheggia nel vuoto, come a gridare il dramma della propria incomunicabilità. Energia prima viva, ora decadente, Totemica si spegne su sé stessa inghiottita nuovamente dall’oscurità totale da cui è emersa.
Ruggine
Il divino cede il posto all’umano ed è da quel buio che riemerge, non più Perego, ma semplicemente Manfredi. Le mani sul viso. Se lo sguardo è una componente fondamentale in un linguaggio fatto essenzialmente di corpo, coprire gli occhi danzando risponde a una precisa esigenza registica. Complicato stabilire il confine tra la paura di guardare e quella di essere visto. Un solo di danza che è un vero e proprio atto di coraggio, aperto e chiuso da due intimidatorie e al tempo stesso intimorite rincorse verso il pubblico.
Tornano le musiche di Codognola, voluto in sala dal coreografo, ad accompagnare la ricerca di Perego. Questa volta rumori più stridenti, suoni più inquietanti, che accompagnano l’audacia dell’artista e dell’uomo di mettersi a nudo, mostrare le proprie debolezze fino a svelare lo sguardo. Mostrare gli occhi prima coperti, guardare irriverenti davanti, è cedere il passo e il corpo ai mostri che li visitano. Non un discorso universale, ma il più intimo e personale possibile. Impeti di rabbia e frustrazione, per un movimento che non convince davvero il danzatore a risollevarsi da terra, dall’abisso di inerzia in cui è caduto — diverse le spinte vane che si dà per alzarsi. A tratti la necessità di voltarsi, le spalle al pubblico, diviene l’unico modo per abbandonare il senso di impotenza e la sensazione di essere legati. Dare quindi sfogo agli stridori interni che lo attraversano, senza nessuno sforzo per celare il fastidio di trovarsi sotto i riflettori, ma condensandolo in bieche occhiate rivolte alla platea.
Ecco la vita com’è nelle sue sfide quotidiane, come sarebbe se potessimo vederla dal di dentro. La natura verdeggiante cede ora il passo a quella interiore e la sua perturbazione attraversa violenta tutto il corpo. In fine, torna la mano a celare il viso, lasciandoci con il dubbio, ma non il biasimo, che il coraggio di affrontare sé stessi non sia mai abbastanza.
Federica My
foto di copertina: Graziano Fantuzzi
Totemica
coreografia/scene Manfredi Perego
danza Chiara Montalbani
musiche originali Paolo Codognola
disegno luci Giovanni Garbo
realizzazione luci Roberta Faiolo
produzione MP.ideograms-TiR danza
con il supporto di Centro Nazionale di Produzione della Danza Scenario Pubblico, Europa Teatri, Scuola danza compagnia Era Acquario.
Ruggine
coreografia/danza Manfredi Perego
musiche originali Paolo Codognola
disegno luci Roberta Faiolo
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview