Ti sei avvicinata alla danza intorno ai vent’anni, dopo aver completato gli studi di cinema presso l’UQAM (Université du Québec à Montréal): hai riscontrato dei punti di contatto tra queste due arti?
Credo che la principale analogia tra danza e cinema sia dovuta alla presenza di un ritmo: come in un film le inquadrature e la recitazione degli attori scandiscono precisi ritmi cinematografici, allo stesso modo ogni coreografia si distingue grazie a uno specifico ‘groove fisico’, determinato dai corpi dei danzatori e dai loro movimenti.
Si tratta di un equilibrio che dipende dall’immaginazione e dalla capacità di dar forma ad altri mondi: sono realtà parallele che di fatto esistono nel momento della fruizione.

A MilanOltre, insieme a Martin Messier, portate in scena uno spettacolo intitolato Con grazia, in cui colpite diversi oggetti con mazze e martelli. Come si conciliano i concetti di grazia e di distruzione?
Non c’è alcuna discrepanza fra il titolo e le azioni che compiamo durante la nostra performance, perché abbiamo pensato alla distruzione partendo da una prospettiva diversa: non ci interessa l’atto di violenza in sé, ma la modalità con cui ci muoviamo, agiamo e reagiamo rispetto agli oggetti. Il fatto che tutto avvenga in modo estremamente fisico e intenso non impedisce che lo si compia con grazia, con cura, con armonia. Certo, di solito i concetti di grazia e distruzione non vengono accostati, ma noi abbiamo voluto lanciare una sfida e ci siamo detti: “Perché no? Proviamoci e vediamo qual è il risultato”.

Per costruire questa performance sei partita dalla coreografia o dalla musica?
È stato Martin [Messier, ndr.] a chiedermi di affiancarlo nella realizzazione di Con grazia: lui è un ’multi-artista’, ma in particolare lavora sui suoni, rendendoli reali, visibili. Perciò il punto di partenza è stata la dimensione acustica: l’idea di distruzione doveva essere innanzitutto udita. Solo in seguito abbiamo sovrapposto il movimento alla musica, e ci siamo impegnati perché si rafforzassero a vicenda.

Nadia Brigandì

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView