Definiresti la tua danza innovativa?
Credo che l’elemento di novità risieda nel mio percorso di studi come danzatore: ho unito una formazione di tip tap, hip hop e altre discipline, con l’obiettivo di trovare un nuovo tipo di movimento. Il mio metodo di creazione prevede anche una particolare ricerca sulle  attrezzature e sulle musiche, che fanno parte a tutti gli effetti del mio linguaggio.

Nel nome della compagnia c’è la parola “danza” ma anche “teatro”. È un manifesto?
Il mio lavoro, in effetti, si colloca al confine tra danza e teatro, e personalmente cerco di trovare lo spazio di intersezione tra i due: l’espressione fisica deve cercare una trascendenza e un significato. Il corpo è il vero strumento che trasmette tutte le idee, che nel nostro caso sembrano quasi pensate per un testo di prosa anche se tentiamo di comunicarle solo con la fisicità. Indaghiamo il motivo per muoversi più che il movimento.

Come si declina tutto questo in Major Motion Picture? 
Lo spettacolo parla di identità personale e di territorio. È una critica alle dinamiche sociali che creano divisioni: noi, lasciando la giusta libertà interpretativa allo spettatore, abbiamo però messo in luce come ognuno di noi vede sé stesso in relazione agli altri. Ci si sente uguali in un gruppo e poi diversi rispetto ad un altro gruppo, ma nonostante questo la differenza dei singoli può creare coesione nella moltitudine. Per noi, come Canadesi, è un tema politico fondamentale. Ma è allo stesso tempo una questione universale, che riguarda l’essere umano.

Marco Macedonio

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView