“I” is memory sembra rimandare fin dal titolo a una sfera personale. Da quale esperienza nasce questo lavoro?
Potrebbe sembrare che tutto cominci con l’operazione all’anca che ho dovuto affrontare nel 2003, in realtà, più che il trauma fisico, è stato un bisogno interiore a spingermi verso questo lavoro. All’epoca dell’operazione infatti sentivo di non potere né volere fermarmi. Nonostante l’intervento volevo essere libera nel movimento: non potevo rinunciare alla danza! Da lì è nata l’esigenza di rendere visibile ciò che stava accadendo nella mia testa.
Quanto è stato complicato rendere ‘concreto’ questo stato d’animo e come ha influito sul processo creativo?
La mia mente era piena, occupata da qualcosa che dovevo far ‘emergere’, per riuscirci però dovevo lavorare in maniera diversa rispetto al solito. Non potevo danzare con velocità, dovevo farlo lentamente. Si trattava allora di rendere esplicito in ogni singolo movimento ciò che occupava la mia mente. Così, passo dopo passo, il ‘pezzo’ ha preso gradualmente forma. È stato molto difficile fisicamente, ma non per via del dolore: era complicato riuscire a non interrompere il flusso, renderlo concreto e soprattutto andare sempre avanti. Alla fine il mio corpo ci è riuscito: ha trovato ciò che cercavo. Non posso dire sia stata una coreografia nata da un processo decisionale o razionale: molto semplicemente volevo ‘sganciarmi’ dalla mia anca e vedere dove mi avrebbe portato il ‘cuore’.
Quella della danza e della coreografia è una strada spesso accidentata: cosa suggerirebbe oggi a chi si trova all’inizio di questo percorso?
È difficile dare un suggerimento univoco. In questo ambito molto dipende dalle singole circostanze, da chi siamo e cosa vogliamo fare. Nel mio caso si è trattato di ‘lasciare sempre una porta aperta’ e non fermarsi mai. Bisogna essere quotidianamente consapevoli della propria esperienza, della propria conoscenza e non pensare a quello che siamo stati ieri. In altre parole: non bisogna fermarsi! Personalmente sono sempre stata concentrata in ciò che stavo realizzando: non mi sono mai comportata come una danzatrice “anziana”. Sono, e mi considero, ancora ‘fresca’. Non sono qui, oggi, perché danzare è semplicemente il mio lavoro, ma perché voglio imparare qualcosa di nuovo con nuove persone intorno a me. Questo allora è il mio suggerimento: pensare a se stessi come persone che iniziano qualcosa, come a dei pionieri, a qualcuno che ha sempre qualcosa da imparare.
Ilaria Moschini
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView