Mentre quasi tutti gli altri spettacoli di MilanOltre sono stati portati in scena al Teatro Elfo Puccini, Io sono il bianco del nero ha come cornice Dancehaus. Perché questa scelta?

Credo sia importante che lo spettatore veda la danza da molto vicino, perché ci sono elementi, a livello fisico, tecnico e interpretativo, che è difficile cogliere guardando un palcoscenico. Il pubblico ha in questo modo la possibilità di intraprendere un vero e proprio percorso, di immergersi dentro un racconto realizzato dai danzatori e dal coreografo. Dancehaus è per me uno spazio di lavoro, uno spazio pieno di umanità, e credo che appena si entri nella sala si possa cogliere questa presenza.

Le foto dello spettacolo, pubblicate sulle vostre pagine social, sono tutte accompagnate da citazioni tratte dalla Waste Land di Eliot. Qual è il rapporto tra la coreografia e il testo letterario?

I miei lavori si appoggiano sempre alla drammaturgia e alla scrittura: è stata la costante che mi ha accompagnata in tutti questi anni. Mio padre era regista, quindi sin da piccola sono stata abituata a frequentare il testo, a sviscerare la parola, il suo senso e il suo ritmo. Il principio fondante della mia idea, delle mie coreografie, non è la musica, ma proprio la parola, ciò che è sotteso al pensiero poetico e drammaturgico. La scelta della Waste Land è, in un certo senso, stata dettata dalla fase ‘matura’ del mio percorso artistico e personale: si tratta di un testo complesso, ma al tempo stesso molto semplice perché contiene i ritmi della vita. Il passato, soprattutto in chiave psicanalitica, è un tragitto che ci troviamo a compiere per approdare a una sorta di via d’uscita. Credo che Eliot sia un poeta in grado di dare spazio a questa visione del passato, mettendo insieme situazioni contraddittorie e atemporali. L’atemporalità è un concetto che mi ha sempre affascinato e che ho cercato di portare nelle mie coreografie: vedere l’azione nello stesso momento con tempi diversi, come se il presente fosse sempre ‘bagnato’ di passato e, al tempo stesso, proiettato verso il futuro.

Il titolo dello spettacolo, Io sono il bianco del nero, racchiude il contrasto tra i due ‘non colori’. Quale significato veicola questa contrapposizione?

Il bianco è per me una ‘non memoria’, una sorta di grande amnesia esistenziale, in cui si insinua il nero, che traccia percorsi molto sottili, come a ricordarci qualcosa che è ancora lì ma che abbiamo dimenticato. Il colore bianco è come un grande fascio di luce che mi porta dentro un’altra vita, dentro una paradiso, forse. Rappresenta un percorso che parte dall’amnesia per portare, attraverso il viaggio, verso un mondo altro, che, come dice Eliot, è pace, è shantih.

Sara Monfrini