Sul primo studio di Tropicana
Visto al Teatro PimOff di Milano _ 29-30 aprile 2016
Prossima presentazione: 15 maggio nell’ambito di IT Festival, Fabbrica del Vapore, Milano
È il 1983 e il tormentone dell’estate è Tropicana del Gruppo Italiano: una canzonetta da ascoltare sulla sdraio o ballando a bordo piscina, con accordi semplici e motivo orecchiabile, anche se in realtà racconta di un’esplosione nucleare. Un rovescio comunicativo che segna un enorme successo: ma il Gruppo non indovina più neanche un pezzo e dopo due anni si scioglie. Quali sono le dinamiche di questo fallimento? E come si può andare avanti in un percorso artistico reinventandosi ma mantenendo una propria identità?
Se lo è chiesto anche Frigoproduzioni, giovane compagnia che negli ultimi tempi si è fatta notare per una certa innovazione del linguaggio e una coerenza delle idee. SocialMente, spettacolo d’esordio debuttato nella sua forma completa nel 2015, ha convinto e divertito critica e spettatori. I due attori (e ideatori) Francesco Alberici e Claudia Marsicano, passando da un televisore a un frigorifero con la f di facebook, hanno scattato una fotografia della generazione dei social network, tra alienazione e nonsense, restituendo al pubblico le assurdità del contemporaneo 2.0. Una drammaturgia ridotta al minimo e una capacità espressiva che passa attraverso la sintesi – fatta di silenzi, di dialoghi alla deriva del cinismo, monosillabi, ritmi rallentati, sguardi inebetiti e talenti repressi – componevano una grammatica capace di restituire con immediatezza una dimensione catatonica cinicamente reale.
Il passo successivo dopo questo fortunato debutto rappresenta, inevitabilmente, un ostacolo: non deludere pubblico e critica senza ripetere qualcosa di già visto, per evitare un’uscita di scena come quella del Gruppo Italiano. La genesi di Tropicana ce l’ha raccontata Francesco Alberici (autore e regista, oltre che interprete) in una conversazione a margine del primo studio presentato al Pim Off lo scorso 29 aprile: “L’idea è nata durante una residenza a Reggello. Stavamo lavorando su un progetto che si chiamava La palestra ma ci rendevamo conto che era sbagliato, che non era il momento giusto per portarlo avanti e che stavamo replicando i meccanismi di SocialMente. Un giorno, casualmente, ho sentito in radio Tropicana e abbiamo deciso di lavorarci. Così è nato un primissimo studio – di fatto esito del fallimento del progetto precedente – incentrato sul contenuto della canzone. Sono andato avanti a lavorarci a tavolino producendo un centinaio di pagine di appunti, in un’impasse continua. Era troppo concettuale, troppo banale, troppo debole?”
Questa sorta di “crisi creativa” è arrivata a un punto di svolta con la residenza al PimOff e la selezione al bando Cura, che hanno imposto una scadenza. Dieci giorni fino alla presentazione del primo studio e poi altri quaranta giorni di prove fino al debutto, previsto per la prossima stagione.
Il lavoro su Tropicana ha quindi portato a un multiplo livello di indagine, cui corrispondono tre piani narrativi. Il primo è quello interno al testo della canzone: il racconto di un’apocalisse nucleare arrivato al pubblico sotto forma di canzonetta, di tormentone estivo in cui la forma (e il compromesso con le scelte di produzione e di mercato) ha prevalso sul contenuto.
Il secondo è quello delle tensioni e delle difficoltà durante le prove tra i quattro attori in scena (oltre ad Alberici e la Marsicano, Daniele Turconi, già membro della compagnia, e il nuovo ingresso di Salvatore Aronica).
Infine, le dinamiche di collaborazione interne al Gruppo Italiano. “Abbiamo intervistato Raffaella Riva (membro del gruppo e autrice dei testi) e abbiamo sentito delle assonanze” racconta Alberici. “Una tra tutte, l’inserimento di un nuovo membro nella compagnia, o il rischio di essere fatti fuori dalle esigenze della produzione; o ancora, la mediazione tra una vocazione artistica e la vendibilità del prodotto. A noi il compromesso spettacolare non interessa. Crediamo che il ruolo di chi pretende di fare un lavoro artistico sia captare cosa gli sta succedendo intorno, mettendo in scena anche qualcosa di molto personale e presente. Noi abbiamo captato le tensioni interne al gruppo e temuto che Socialmente fosse la nostra Tropicana. Così lo spettacolo cerca di mettere in scena con onestà le difficoltà del nostro percorso e anche una dichiarazione poetica: non vogliamo solo divertire e raggiungere degli obiettivi di sbigliettamento, ma scuotere il pubblico, generare delle domande. Cerchiamo di lavorare dentro a questa contraddizione: fare teatro che arrivi ad ogni fascia di pubblico mantenendo alto un discorso artistico.”
Il meccanismo dei tre livelli narrativi viene spiegato al pubblico: a ciascuno corrisponde un diverso uso delle luci. Lo spettatore così non deve più interrogarsi su quale sia il piano di realtà di quello che vede e lo scarto tra contenuto e forma si sviluppa in un tacito accordo tra chi guarda e chi fa.
Mentre in SocialMente era molto forte la dimensione immaginifica, Tropicana è molto più aderente al reale: è tutto esplicitamente finto e architettato perché funzioni. Così Salvatore sta davanti al faro – simbolo in scena dell’esplosione nucleare – ma ammette di non crederci, dichiarando un meccanismo di finzione chiaro e codificato. E in modo analogo gli attori continuano a chiedersi se dovevano o non dovevano spiegare il senso delle loro battute: come l’esordio sul sogno, giustificato come “canone” storicamente condiviso.
Se il limite di SocialMente stava in una struttura fin troppo cadenzata da sketch giustapposti l’uno all’altro, senza particolari variazioni di registro linguistico o di ritmo, in Tropicana questo limite sembra andare nella direzione di essere superato. Così come vengono introdotte nuove dinamiche a margine delle domande sul progetto artistico, forse anche grazie agli input che derivano dalle collaborazioni portate aventi dai singoli membri della compagnia, poi reinvestiti nel progetto comune Frigoproduzioni.
E con SocialMente resta in comune un interrogativo sul rapporto tra realtà e menzogna e sugli ossimori delle forme di comunicazione. Quel cinismo che sta dietro ai dialoghi di SocialMente ha forse qualcosa in comune con quello che oscura il senso della canzone Tropicana?
“Tropicana si colloca nel 1983, all’inizio di un percorso di declino del costume italiano”, osserva Alberici. “La nascita della TV commerciale di Berlusconi, di Drive in e poi di Colpo grosso, le bionde in bikini e la sessualità becera mostrata in tv, il primo Vacanze di Natale e il ‘cinepanettone’. Per noi che siamo tutti nati dopo il 1983, quel degrado rappresenta la norma e quella canzone è come uno schizzo di quegli anni: un punto di origine del nostro presente.”
Tre livelli narrativi e molti spunti di ricerca a partire da una sola canzone: ancora quaranta giorni di prove per trovare la sintesi in un equilibrio tra realtà e finzione che, forse, rimarrà sempre un contenitore aperto alla relazione con il pubblico, nell’indagine – tutta teatrale – delle dinamiche di prova, errore e ripetizione.
Francesca Serrazanetti