di e con Antonello Taurino
visto al Festival Tramedautore di Milano_ 23 luglio 2015
in replica presso il TAN OFF Open Space 3 di Napoli _ 12-13 settembre 2015
e presso il Teatro Comunale di Massafra (TA) _ 20 settembre 2015

Tra gli applausi scroscianti Taurino scherza: “È la storia che è bella…”.
In effetti la storia è formidabile, è accaduta trent’anni fa ma in molti se la ricordano ancora: chi come una grande beffa, chi come uno scandalo italiano, chi come una rivincita sugli intellettuali, chi come l’esempio perfetto del circolo virtuoso, ma autoreferenziale, della critica d’arte che può diventare vizioso in un attimo e crollare di schianto.
Taurino però gli applausi se li merita tutti, perché la storia delle false teste di Modigliani, ripescate a Livorno nell’estate del 1984, ce la racconta in modo impeccabile, non tralasciando nessun dettaglio (anche perché ciascuno funziona come un fondamentale ingranaggio) e rendendo merito sempre al vero autore, il destino che, ci dice, “lavora come un grande sceneggiatore di Hollywood”.

In realtà, complice anche l’ambientazione toscana, l’intera vicenda ha piuttosto il sapore di una delle novelle esilaranti del Boccaccio, con morale nascosta, ma poi neanche tanto. Dopo un’intelligente introduzione in stile pirandelliano sul destino umano dell’artista e sul caro prezzo del genio, Taurino cambia registro e illustra una breve, brillantissima biografia di Modigliani: è importante non sbagliarsi in seguito e non dubitare del valore del vero artista coinvolto, ma cogliere bene chi sono le vittime e perché. Il tono che sceglie l’attore è quello dello sberleffo, della battuta magari facile, della burla livornese: anche il titolo dello spettacolo è quello che “Il Vernacoliere” dedicò alla vicenda. E la stessa idea di regia del suo monologo, con l’utilizzo (creativo) delle diapositive, assomiglia a una irriverente conferenza antiaccademica.

Sì perché anche se questa storia è costata la carriera, la ragione e forse perfino la vita a qualcuno, tuttavia fa davvero ridere: per la ricchezza di colpi di scena (Taurino non se ne fa scappare uno e li gioca come gli assi a scopa d’assi), per la perfezione dei protagonisti – tutti giusti nel posto giusto al momento sbagliato – per la casualità che determina sviluppi a cascata.
Inoltre Taurino evidenzia bene (fin dal titolo) come quelli che all’epoca ancora non erano chiamati confidenzialmente media abbiano giocato un ruolo determinante in questa storia: prima facendo da subito grande cassa di risonanza (e fin qui l’effetto era voluto da chi si era inventata la ricerca delle statue come operazione di promozione e marketing della mostra flop per il centenario di Modì), in seguito affondando come in sabbie mobili i critici che si sono avventatamente pronunciati, infine andando a nozze con l’incredibile verità svelata e arrivando a proporre uno speciale TV dagli ascolti record.

Lo spettacolo di Taurino scava a fondo e per questo ha anche il grande pregio di far riflettere, e molto. La cecità ostinata di chi non ha voluto vedere quello che non voleva vedere, alla fine, ha il sapore amaro della tragedia classica. La figuraccia della critica d’arte, sbugiardata nel peggiore dei modi, impiccatasi da sola con la corda della stampa mondiale, sembra la più grande e riuscita operazione situazionista mai eseguita, ancorché involontaria. E in fondo, a pensarci bene, si ha la sensazione che questa storia dovesse accadere, che fosse necessaria alla storia e alla critica dell’arte per fare i conti con se stessa, come un corto circuito che costringe a cambiare tutto l’impianto, ma che magari ti salva la vita.

Il finale della storia, che non svelo a chi non lo ricorda, è ancora più incredibile e paradossale: un finale aperto che più finale non si può.
E il genio? Quello di Modigliani non è mai messo in discussione. Quello dei tre ragazzi che si sono inventati la burla e hanno fatto cadere la prima tessera del domino è indubbio. E per una volta, non facendo loro gli artisti, vissuto senza caro prezzo e sofferenze. Da vedere!

Giovanni Nahmias