Per chi guarda con un qualche allarme al proliferare di device, azioni performative urbane e dispositivi interattivi c’è una buona notizia: pare che, da qualche parte, ci sia ancora qualcuno sotto i trent’anni che intende la regia come interpretazione del testo, lavoro con attori in carne ed ossa, ideazione di uno spazio scenico.
Lorenzo Ponte, classe 1992, si è diplomato la scorsa estate alla Civica Paolo Grassi. Pochi mesi dopo, il suo Tu sei Agatha (a cui aveva lavorato nel percorso d’accademia) viene prodotto dal Franco Parenti e incluso nella rassegna “Stanze”. Per la creazione che rappresenta a tutti gli effetti il debutto nel mondo professionale, Ponte sceglie una drammaturgia tutt’altro che agile: un atto unico di Marguerite Duras, dal linguaggio impervio e denso, che non vanta una particolare fortuna nella storia della messa in scena (è del 1986 la regia di Thierry Salmon, premiata dall’Ubu). In effetti, non si può dire che la vicenda risulti immediatamente vicina agli spettatori di oggi; l’amore incestuoso tra Agatha e suo fratello è sì irrequieto e appassionato – e quindi ad alto potenziale di rispecchiamento – ma i loro sospiri e turbamenti raccontano la loro provenienza aristocratica prima della loro sofferenza. I ricordi d’amore, che ancora bruciano, sono sguardi rubati tra una sonata di Brahms e una villeggiatura oziosa, e il teatro della loro storia mai vissuta è una grande villa nella Loira che ora abbandonano a malincuore.
Ponte affronta le difficoltà di partenza con piglio deciso, spogliando il testo di tutte le sovrastrutture e arrivando dritto all’essenziale. Un sontuoso lampadario resta a terra, dimenticato, come il contesto sociale e geografico della vicenda di cui poco ci importa; e il palco, in penombra per tutta la durata dello spettacolo, è un luogo interiore che non ha bisogno di altre connotazioni. Nudi, proprio come la scena, sono anche i due straordinari interpreti, chiamati alla resa dei conti dei sentimenti reciproci senza potersi più difendere: la regia concede loro il lusso e la responsabilità del vuoto, e lascia ai due reagenti tutto lo spazio necessario per detonare. La prova di Valentina Picello e Christian La Rosa, qui fianco a fianco per la prima volta, è notevole: una prova di voci trattenute e vibranti, di invisibili linee di tensione, di parole che non possono essere dette. Ma più sorprendente ancora è il lavoro sul corpo: i due attori deviano dalla possibilità più scontata e attesa – quella di esplorare l’erotismo di cui già raccontano le parole – e indossano invece la loro nudità come un vestito vecchio e logoro che si lascia cadere sulle spalle, e li fa apparire in tutta la loro vulnerabilità, finitezza, goffaggine umana. Non c’è nemmeno un istante di compiacimento estetico, nel dialogo dei corpi: i due fratelli/amanti si ritrovano al loro confronto finale come al punto di partenza, come due bambini che non hanno ancora imparato a utilizzare gli strumenti di cui sono stati dotati. Indifesi e disarmati, come ci si trova sempre in ogni relazione umana che davvero conti.
Maddalena Giovannelli
Agatha
da Agatha di Marguerite Duras
adattamento e regia Lorenzo Ponte
visto al Teatro Franco Parenti di Milano_ 10-21 ottobre 2018