Come definire i confini di una generazione teatrale? Quali parametri sono da tenere in considerazione per individuare un minimo comune denominatore estetico? Di cosa hanno bisogno i giovani artisti per poter delineare un proprio percorso creativo? È possibile realizzarlo se privi di un luogo, di contesti, di spazi capaci di costituirsi come centri raccoglitori e propulsori di incontri e legami?
Tutta la vita davanti. Festival di teatro per vecchi del futuro – diretto dalla giovane regista spezzina Alice Sinigaglia e ospitato negli spazi del Dialma di La Spezia tra il 26 e il 28 maggio – ha saputo rispondere alla necessità di creare un momento, e un luogo, di incontro per la generazione teatrale under 30/35. Ancora nei giorni successivi alla conclusione del festival, gli spettacoli visti, gli scambi e gli incontri avvenuti fuori dal teatro, le osservazioni emerse nei contesti di dialogo formali e non, continuano a risuonare in ciò che stiamo vivendo e osservando a teatro. Compagnie e critici, operatrici e artisti che rientrano nella funzionale – ma fortemente problematica e contraddittoria – etichetta degli “under 35” hanno avuto l’occasione di poter confrontare le proprie linee di ricerca con quelle altrui, di potersi scambiare buone pratiche ed escamotage per la sopravvivenza all’interno di un sistema teatrale complesso, bulimico e opprimente, non sempre capace di valorizzare il merito.

L’importanza di un festival dedicato alla nuova scena, e da essa abitato, si riflette immediatamente nella possibilità di gettare le fondamenta, anche solo in fase embrionale, di un’intera comunità teatrale, contrastando quella tendenza all’isolamento e alla realizzazione di percorsi artistici solitari che sembra essersi diffusa negli ultimi anni. Nell’osservare i lavori presentati, ciò che affiora più chiaramente è la compresenza di molteplici linee di ricerca e poetiche creative. Un aspetto capace di identificare questa nuova generazione teatrale è riscontrabile, quindi, non tanto nella ricerca di elementi comuni, quanto piuttosto nelle differenti traiettorie. Proprio la molteplicità e la difformità possono essere considerate fattori capaci di accomunare la nuova scena, invece di essere inquadrabili come mere componenti di dispersione. 

FanniBanni’s, Biancaneve e i sette nazi, foto Francesco Capitani

Il cartellone del festival è in grado di affiancare artisti che agiscono individualmente (a volte instaurando periodicamente collaborazioni nate in occasione di singole creazioni) con realtà invece legate al lavoro di compagnia, come accade per FanniBanni’s (composta da Nicoletta Nobile, Gabriele Anzaldi, Rocco Ancarola, Giorgia Iolanda Barsotti, Giorgia Favoti) e Ctrl+Alt+Canc (Alessandro Paschitto, Raimonda Maraviglia e Francesco Roccasecca). I FanniBanni’s portano al festival il loro Biancaneve e i sette nazi che, con sarcasmo, riflette su come possa essere percepita oggi una fiaba dopo le tante riscritture che l’hanno trasformata, in un percorso parallelo ai cambiamenti della società. Il contesto è quello della festa di compleanno di Biancaneve, dove i ruoli risultano, stereotipicamente, ribaltati: la regina, ormai pentita, è diventata una buona matrigna, ma la ragazza non l’ha mai davvero perdonata, e così, con la collaborazione di due nani, riesce finalmente a liberarsi della sua ingombrante presenza. Il taglio ironico è centrale anche in Apocalisse tascabile di Niccolò Fettarappa Sandri e Lorenzo Guerrieri, capace di interrogarsi, e interrogare così anche gli spettatori, sulle modalità con cui il capitalismo intacca oggi la politica e la comunità di artisti. Proprio per la sua capacità di cogliere nel segno rispetto a una questione oggi viva e sentita, lo spettacolo ha goduto di una buona visibilità a livello nazionale, ottenendo repliche in tutta Italia, anche grazie al sostegno produttivo del Teatro di Sardegna (giunto però solo dopo il riscontro positivo di pubblico e critica).

Il grottesco è alla base di Gargantua e Pantagruele di Alice Sinigaglia, spettacolo che trae ispirazione dalla mastodontica opera di Rabelais, che il formalista russo Michail Bachtin pose al centro della sua riflessione sul ribaltamento carnascialesco e l’opera popolare. Ecco dispiegarsi sul palco un’improbabile e divertente conferenza, una serata di studi in onore dell’autore rinascimentale francese che finisce in “caciara”, un consesso di docenti universitari e studiosi con evidenti difficoltà sociali o disturbi della personalità, facinorosi e bizzarri, impostori intellettuali alle prese con l’analisi delle stratificazioni di un testo che ha posto le basi per uno sguardo disincantato sulla realtà. Si manifestano il caos e l’irrequietezza, l’euforia e la psicosi, l’incedere scomposto e individuale che caratterizza la generazione di oggi, e forse tutte le età di passaggio. 

Benedetta Parisi & Alice Sinigaglia, Funerale all’italiana, foto Andrea Macchia

È la stessa Sinigaglia, classe 1996, a provare a dare una lettura della realtà contemporanea e delle questioni generazionali, riuscendo a passare dalla rilettura di un’opera-mondo al racconto del ritorno al passato, filtrato da uno sguardo sguardo giovane e attuale. Lo spazio fornito dagli Scarti si anima così con storie familiari, questioni private che solo poi assumono tratti potenzialmente universali, in un incessante ripetersi di individualità che quasi brancolano nell’orizzonte del contemporaneo, senza estetiche predefinite, o forti tratti generazionali riconoscibili. L’incontro di Sinigaglia con Benedetta Parisi tocca le corde della nostalgia, di un passato che non può più tornare. Il titolo del loro lavoro, Funerale all’italiana, riporta all’atmosfera perduta della Dolce Vita, delle indimenticabili commedie come Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi o della coppia Loren-Mastroianni diretta da De Sica in Matrimonio all’italiana (1964). Questo tempo antico viene evocato nello spettacolo anche attraverso il richiamo ad alcuni divi del cinema hollywoodiano, personaggi quasi mitici che nutrono gli immaginari dell’epoca. Eppure, diversamente da come ci si potrebbe aspettare, ci si allontana da quelle tonalità: il racconto di Parisi, sola in scena, è scandito dal suo rapporto con i nonni, di cui viene esaltata la capacità di rimanere fedeli a un’unica persona per tutta la vita, mostrando uno sguardo che ammira e quasi non comprende queste relazioni d’amore (o meglio, matrimoniali) resistenti al tempo e all’usura. Però la società muta e, in un grottesco ribaltamento, il funerale della nonna è utilizzato per discorrere con ironia del senso di vuoto della generazione d’oggi, talmente forte da rendere necessario tornare a guardare a un mondo che fu. D’altra parte, le veraci sceneggiate di Filumena, o Mastroianni che fa piedino a Sandrelli sulla barca, avevano un impatto molto più trasgressivo e dirompente: qui, invece, tutto è velato da un’amara malinconia di chi si affaccia al mondo nuovo con un occhio languido rivolto verso il passato. E non per nulla, parla già di un funerale.

Anche Andrea Dante Benazzo ragiona in end-to-end sulla nostalgia, su ciò che è passato e non esiste più, affrontando un grande topos di struggimento della gioventù: l’amore perduto. Dopo la fine della relazione con la fidanzata, Benazzo raccoglie l’enorme materiale accumulato in anni di conversazioni su WhatsApp, pagine e pagine di chat a crittografia end-to-end che tengono una traccia – massiccia, frivola e indelebile – della quotidianità di due giovani in un’era grafomane. I primi approcci, l’innamoramento, le liti, i momenti distanti, i nomignoli, la grande crisi: tutto è riconducibile a un pugno di parole abilmente computate nel corpus di testo, tanto da fornire statistiche e dati oggettivi per delineare la parabola di una relazione attraverso l’analisi linguistica. Queste parole divengono poi un vero e proprio copione, una drammaturgia di migliaia di pagine letta e interpretata da coppie di diverse età, riprese in video e proiettate sullo schermo della piccola sala, calate in una vita e in un linguaggio che non sono i loro, ma con sentimenti che, talvolta, vengono percepiti come simili. Dunque ancora un carotaggio operato nelle biografie, un affondo che si serve di strumenti del presente – come programmi di linguistica computazionale, tecnologie e video in scena – per riflettere sulle percezioni dell’oggi di una relazione, di un amore, da parte di un contesto generazionale e sociale che ancora non si sente all’altezza di reputarsi modello, che ricerca sé stesso soltanto nell’alterità.

Andrea Dante Benazzo / Laura Accardo, end-to-end, foto ufficio stampa

Danza e performance trovano una loro collocazione all’interno della programmazione di Tutta la vita davanti – scelta affatto scontata – attraverso Il mio corpo è come un monte di Collettivo EFFE e Io. Tu. Io e te. Tu ed io. Noi. Loro. Noi e Loro. delle gemelle Alessandra e Roberta Indolfi. Il lavoro presentato dalle due sorelle indaga il tema del doppio nei suoi risvolti inquietanti – ma allo stesso tempo anche vitali – giocati e sviluppati attraverso l’incontro, lo scontro e lo scambio dei loro corpi confondibili, osservati mentre cercano di trovare una via per sopravvivere, mentre lottano per stare al mondo, rivelandosi come specchio di una generazione nelle sue diverse sfaccettature. Le ossa diventano sassi a cui appigliarsi in Il mio corpo è come un monte, il lavoro del Collettivo EFFE: sul palco sono presenti Giulia Odetto alla console, e Daniele Giacometti che filma e proietta in diretta, in una trasfigurazione live, dettagli in macro del corpo di Lidia Luciani. La performance, attraverso suoni, video, e la danza lenta e precisa di Luciani, mostra come la superficie di un corpo possa arrivare ad assomigliare realmente alle pietre o alle pareti scoscese di una montagna. Gli elementi, inizialmente eterogenei, si intersecano tanto da amalgamarsi e diventare una cosa sola; lo spettatore compie così un viaggio ideale attraverso un corpo soggetto agli agenti atmosferici, ai cambiamenti, al passare del tempo e all’invecchiamento. Il video, attraverso l’elaborazione delle immagini, trasforma pulviscoli di polvere in neve e sassi che cadono da un secchio nel letto di un fiume; si creano frammenti visivi in cui la performer, o meglio, il suo danzare, si trasforma in un monte.

Se in Il mio corpo è come un monte le parole pronunciate in scena sono quasi assenti, ciò che viene detto assume invece un ruolo centrale in Opera Didascalica, il coraggioso lavoro della compagnia napoletana Ctrl+Alt+Canc. La scena è vuota: sul palcoscenico sono presenti i tre bravissimi attori alle prese con il tentativo di compiere un’azione, di smuovere realmente il pubblico seduto in platea. «Una cosa vera l’ho mai fatta?» si chiede a un certo punto uno di loro, cercando di riempire il palco con spostamenti marcati nello spazio, segnalando il movimento da un punto dall’altro, inscenando sentimenti ed emozioni che però si dichiarano apertamente per ciò che sono, ovvero gesti di finzione, scardinando così il senso della ricezione dello spettatore. Alessandro Paschitto, Raimonda Meraviglia e Francesco Roccasecca dialogano con chi siede di fronte a loro: non a caso, infatti, le luci rimangono sempre accese, non c’è modo di prendere le distanze dall’incontro che sta avvenendo. Opera Didascalica si muove, con acuta ironia, sul confine delle convenzioni che determinano le forme della nostra percezione dell’evento teatrale. «Vogliamo una trama!» dichiara disperatamente Roccasecca al regista, drammaturgo e attore Paschitto, il quale si rifiuta volontariamente di fornirne una: perché è inverosimile che questa porti davvero all’accadimento di qualcosa. Privati di tutto, agli attori non resta che fare i conti con l’unico elemento rimasto in sala: il pubblico, partecipe e in ascolto, con cui tentare di instaurare una comunicazione reale, per assolvere così alla funzione primaria e originaria del teatro, ovvero l’esperire il senso di comunità, sentendosi parte di una collettività consapevole.

Ctrl+Alt+Canc, (O)pera didascalica, foto Francesco Capitani

Un momento di incontro fondamentale del festival si è verificato in occasione della tavola rotonda di sabato 27 maggio: priva forse di definizioni conclusive, ma capace di aprire solchi all’interno di questioni sentite e vissute da questa nuova generazione teatrale. Le linee di riflessione proposte sono state accolte o deviate a seconda del bisogno e delle urgenze, ma è indubbio che le questioni affrontate siano state tutte relative a un punto centrale: l’esigenza di avere un luogo e un tempo per la sperimentazione, per ritrovarsi, per stare nel flusso creativo e non incasellarsi artisticamente in una sola via possibile, neanche nella definizione di “under 35”. Nelle parole di Giulia Odetto, «il sistema non è fatto per le collettività»: ma più che una barriera, questa sembra una sfida da superare per provare a inserirsi, proprio come collettivo, nello stesso mondo che ne ostacola l’esistenza. Rispetto alle possibilità di sostegno, Laura Accardo ha notato uno «scollamento» tra i diversi settori e ambiti di competenza artistici che dovrebbero invece entrare in dialogo e in relazione, senza rivendicare unicamente gli elementi di diversità, ma lavorando sui punti di contatto, sulle somiglianze. Sembra che la generazione nata sotto il segno della velocità tecnologica abbia bisogno di fermarsi e osservare sé stessa, ridefinendo secondo nuove norme quest’epoca, finanche provando a rallentarla. La discussione ha così tralasciato concetti come “estetica”, “linguaggio”, “poetica”, insufficienti in questo contesto a rendere conto della complessità del panorama, nel tentativo di ricercare e farsi carico, invece, di una nuova complessità, fatta di utopie e comunità. Proprio rispetto a questo, Alice Sinigaglia ha rivendicato la frammentarietà e la molteplicità in cui questa generazione probabilmente si riconosce e si identifica, considerandola non come un elemento di disvalore ma come un aspetto caratterizzante, capace di illuminare la nuova scena in modo differente. È inoltre emerso il bisogno di parlare di economie più che di poetiche, simbolo di una generazione che prima del valore estetico punta alla sopravvivenza, che mira a togliersi di dosso quel sentirsi costantemente allievi, dipendenti, in errore o difetto, bisognosi di chiedere ad altri l’approvazione per agire. Affiorano così non soluzioni, ma domande urgenti: gli artisti si interrogano su come cambiare un sistema che non hanno creato loro direttamente e quali politiche bisogna mettere in atto per sopravvivere insieme; da parte di chi osserva invece la questione è cercare di capire quali confini ha questa generazione e come deve lottare per ottenere cambiamenti concreti. Gli interrogativi posti in apertura non hanno trovato una risposta, ma alcuni punti sono stati delineati. Non si tratta infatti di tracciare confini tra generazioni, ma piuttosto di ampliare sguardi, cercando di educarli senza ingabbiarli, lasciandoli, anzi, liberi di immaginare e sognare un teatro del futuro capace di dare forma a nuovi orizzonti.

Andrea Malosio, Francesca Rigato, Alice Strazzi


in copertina: Alice Sinigaglia / Elena Patacchini, Gargantua e Pantagruele, foto Francesco Capitani

FUNERALE ALL’ITALIANA
di Benedetta Parisi e Alice Sinigaglia
regia Alice Sinigaglia
in scena Benedetta Parisi
voce off Michele Coiro
suono Fabio Clemente
luci Daniele Passeri
costumi grazie a Sandra Cardini
foto Andrea Macchia
produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, TPE Teatro Piemonte Europa – Festival delle Colline Torinesi

END-TO-END
un progetto di Andrea Dante Benazzo e Laura Accardo
linguista computazionale Dario Del Fante
sguardo esterno Alessandro Businaro
progetto vincitore dell’Open Call Residenza 2021 di Teatro in Quota
residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t

BIANCANEVE E I SETTE NAZI
un progetto di FanniBanni’s
produzione Artisti Drama
regia e drammaturgia Nicoletta Nobile
con Gabriele Anzaldi, Rocco Ancarola, Giorgia Iolanda Barsotti, Giorgia Favoti
dramaturg Giulia Trivero
costumi Rossana Gea Cavallo
progetto sonoro Gabriele Anzaldi
illustrazioni Claudia Bumbica
consulenza alla scenografia Marta Solari
un ringraziamento speciale a Rita Frongia
con il contributo del MiC

APOCALISSE TASCABILE
con Niccolò Fettarappa Sandri, Lorenzo Guerrieri
progetto ideato e scritto da Niccolò Fettarappa Sandri
regia di Niccolò Fettarappa Sandri, Lorenzo Guerrieri
produzione Sardegna Teatro
distribuzione Agidi

GARGANTUA E PANTAGRUELE
regia Alice Sinigaglia
testo Elena C. Patacchini e Alice Sinigaglia
in scena Emma Bolcato, Lorena Nacchia, Giorgio Pesenti, Caterina Rosaia, Davide Sinigaglia
costumi Margherita Platè
illustrazione Davide Faggiani

IL MIO CORPO È COME UN MONTE
regia Giulia Odetto
con Daniele Giacometti, Lidia Luciani
voce Giulia Odetto
aiuto regia e drammaturgia Antonio Careddu
ambientazione sonora Lorenzo Abattoir
disegno luci Daniele Giacometti e Elena Vastano
direzione tecnica e video Daniele Giacometti
con il tutoraggio di Filippo Andreatta
progetto vincitore di Powered by REf 2021
coprodotto da Romaerupa Festival e Mirabilia – International Circus & Performing Arts Festival
in partnership con Romaeuropa Festival nell’ambito di ANNI LUCE osservatorio di futuri possibili
in collaborazione con Carrozzerie | n.o.t.
co-realizzazione residenze Periferie Artistiche – Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio
in network con ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini
con il supporto di KOMM TANZ/PASSO NORD
progetto residenze Compagnia Abbondanza/Bertoni
in collaborazione con  Comune di Rovereto
ospitato in residenza da Officine CAOS, Residenza ArteTransitiva
con il sostegno di TRAC Centro di Residenza Pugliese – Coop. Crest Taranto
in collaborazione con OHT – Office for a Human Theatre

IO. TU. IO E TE. TU ED IO. NOI. LORO. NOI E LORO
coreografia Alessandra e Roberta Indolfi
interpreti Alessandra e Roberta Indolfi
dramaturg Diego Pleuteri
musica Caterina Barbieri “Undular”

OPERA DIDASCALICA
testo e regia Alessandro Paschitto
con Raimonda Maraviglia, Alessandro Paschitto, Francesco Roccasecca
un progetto di Ctrl+Alt+Canc
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
in coproduzione con Theatron Produzioni
foto di scena Marco Ghidelli
video Alessandro Papa
realizzato con il sostegno di Theatron Produzioni, C.U.R.A. Centro Umbro di Residenze Artistiche, Micro Teatro Terra Marique, Corsia Of-Centro di Creazione Contemporanea si ringrazia Mario Autore, Giulia Sangiorgio, Chiara Cucca, l’Asilo – Ex Asilo Filangieri
selezione In-Box 2022; premio Leo de Berardinis 2021; vincitore del bando nazionale Call from the Aisle 2020; menzione speciale alla Borsa Pancirolli 2020