Gli Uccelli sono la commedia dell’utopia, composta da Aristofane nel momento cruciale (414 a.C.) che segna l’inizio della fine per Atene, presa nel gorgo della guerra del Peloponneso. Mentre la polis si sgretola, il commediografo ne crea un’altra con la potenza della sua sfrenata fantasia: Nubicuculia, la città a mezz’aria fra cielo e terra, è lo “strato” aeriforme che si fa “stato”, regno variopinto degli uccelli, un’alternativa alla corruzione e alle miserie dell’umanità, ma anche sfida all’Olimpo. Un’utopia fragile, perché si regge sulle parole di due cialtroni, in fuga da Atene per un interesse in fondo egoistico. Eppure nel mondo fantastico di Aristofane le parole possono creare mondi meravigliosi e Nubicuculia, appena nata, palpita delle potenzialità positive del nuovo. L’assedio della realtà e delle meschine passioni umane precipiterà però l’esperimento del possibile nel suo contrario, in una pericolosa involuzione che confina con la tirannia. Insomma, Aristofane è idealista o conservatore? Lancia un monito contro la credulità di chi, come le stirpi alate, abbocca alle promesse di politicanti opportunisti oppure invita a un esercizio utopico per regalare ad Atene la speranza in un’alternativa possibile? Il regista è chiamato a decidere: caricare i bagliori sinistri sul fallimento dell’utopia o sciogliere l’utopia comica nella festosità di un riso dolceamaro.

Ci prova Emilio Russo al Teatro Menotti (fino al 3 febbraio) proponendo uno spettacolo godibile e “pop”, con musica dal vivo e sonorità balcaniche. Il finale però sembra non prendere una posizione netta: Pisetero è il tiranno (l’egoismo iniziale si è trasformato in vorace aspirazione al potere) e caccia dalla sua città il compagno Evelpide, il puro – in Aristofane il personaggio scompare in precedenza. A quest’ultimo Russo affida un monologo per esaltare il momento entusiastico della condivisione, quando le idee fervono in un laboratorio del possibile. “Andremo a riprenderci i nostri sogni!”, conclude Evelpide, quasi per non lasciare il pubblico con l’amaro in bocca e per invitarci a credere ancora nella forza dell’utopia. Ma il nucleo problematico rimane irrisolto: che ne è della purezza dell’ideale quando viene realizzato?

I testi di Aristofane, anche dopo duemilacinquecento anni, riescono a essere sismografi per l’attualità. Da questi Uccelli ci saremmo aspettati una presa di posizione vibrante sull’oggi: in Aristofane vili profittatori cercano di entrare nella città e si pone l’interrogativo del “chi merita le ali” – anche se nella commedia il fantastico sembra vincere alle pressioni della realtà, pure con sinistre infiltrazioni. Nel 2019 la politica decide di alzare muri contro chi viene da un altrove, etichettato a priori come possibile corruttore, in una dialettica xenofoba fondata sull’opposizione dentro/fuori, noi/loro e sulla presunzione che la nostra città sia l’ideale e che ci sia un “merito” nell’essere qui.

Russo glissa e sceglie la linea della leggerezza, con un cast giovane in cui si distinguono le interpretazioni maschili (su tutti Ludovico Fededegni). Interessante la caratura dialettale dei due protagonisti, come pure di Tereo-Upupa e del servitore, per accentuare i tratti cialtroneschi, indolenti e maliziosi (la nota di regia rinvia a Totò). Quattro attrici in completo grigio, bombetta, cravatta rossa e una lunga giacca con effetti svolazzanti rappresentano il Coro, poco dinamico e dai tratti forse troppo imborghesiti, con il rischio talvolta di non reggere alla comicità dirompente del testo. Il ritmo è snello e vivace soprattutto nella prima parte, ed è coraggiosa la scelta, pur nell’adattamento ridotto, di non sacrificare parti impegnative come la splendida Parabasi. Delicata la resa di alcuni momenti con la tecnica del teatro delle ombre, apprezzabili l’uso delle mezze maschere per i personaggi degli dèi e gli intermezzi musicali dal vivo, con i gorgheggi della cantante: si ha però l’impressione di una giustapposizione di linguaggi ancora poco amalgamati.

Il palco è cosparso di piccole piume bianche (anallergiche), certamente un riferimento al mondo degli uccelli ma anche alla grazia del sogno, che ha la consistenza eterea di una danza malinconica nell’aria. Il resto della scenografia ha il pregio della semplicità: una struttura in legno rinvia agli spalti di un teatro antico: Nubicuculia è in fondo città “teatrale” per eccellenza. L’effetto è di avvicinare con immediatezza il pubblico, in una resa speculare: chi guarda chi? La polis utopica si offre agli sguardi e a sua volta contempla la polis comunitaria del pubblico in platea, che in un certo senso partecipa direttamente all’esperimento fantastico.

Gilda Tentorio


Uccelli. Commedia pop
di Aristofane
adattamento e regia: Emilio Russo
con: Camilla Barbarito, Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Ludovico Fededegni, Dimitris Kotsiouros, Claudio Pellegrini, Claudio Pellerito, Giulia Perosa, Marta Pistocchi, Roberto Romagnoli, Maria Vittoria Scarlattei, Chiara Serangeli
scenografie: Lucia Rho
interventi di teatro d’ombra: Compagnia Controluce

Visto al Teatro Menotti di Milano_ 17 gennaio – 3 febbraio 2019