Al Teatro Mecenate di Arezzo è andato in scena In girum imus nocte et consumimur igni di Roberto Castello, per la rassegna “Invito di Sosta” diretta dall’Associazione Sosta Palmizi. Abbiamo raggiunto telefonicamente Giselda Ranieri, coreografa e danzatrice, interprete dello spettacolo sin dal suo debutto.

In girum imus nocte et consumimur igni ha debuttato ormai cinque anni fa e continua ad andare in scena in tutto il mondo. Qual è l’aspetto di questa opera che la rende ancora valida dopo tutto questo tempo?

Sicuramente il pubblico potrebbe rispondere meglio di me a questo (ride). A parte gli scherzi, direi che l’impatto scenico è sicuramente molto forte e questo è un elemento che colpisce lo spettatore fin da subito. Le luci e i costumi sono gli assi portanti di una caratteristica fondamentale di questo spettacolo, ovvero di riuscire a essere profondamente catartico. Direi comunque che la sua forza è data dalla rappresentazione di un’umanità alla deriva. È un concetto ovviamente molto ampio, che può ospitare al suo interno varie letture. L’umanità che viene messa in scena non è in grado di autodeterminarsi, non ha una volontà propria. È alienata da sé stessa, per questo vaga e ondeggia continuamente senza una meta.

In girum imus nocte et consumimur igni di Roberto Castello

Cosa ci puoi dire del processo creativo?

Penso che la bellezza di questo progetto sia che fin da subito c’è stata una grande voglia da parte di tutti di stare in sala. Roberto ovviamente aveva già un’idea di quello che sarebbe stata la base, però fin da subito sapevamo che sarebbe stato un progetto a lungo termine. È stato fondamentale potersi prendere la calma e il tempo necessari per sviscerare ciò che c’era da sviscerare. Questo tempo artistico così lungo ha fatto sì che si sedimentassero delle basi molto forti che hanno portato a quel prodotto artistico che è In girum.

Parlando di altre tue esperienze artistiche, mi ha colpito molto il caso di T.I.N.A. Potresti raccontarci di più delle suggestioni che ti hanno portato a ideare questo progetto?

Per T.I.N.A. non sono partita da premesse concettuali, ma da suggestioni di tipo fisico sulle quali ho lavorato durante il processo creativo. Andando avanti queste particolari qualità fisiche mi si sono rivelate e sono riuscita a dare corpo al mio sentire. Questo all’inizio aveva le forme della paura, poi questa paura si è tramutata in ansia che considero anche più terrificante. Mentre la paura è direzionata verso qualcosa di specifico, l’ansia è quel sentimento che non ha appigli. Ti lascia senza fiato perché è un continuo non sapersi rivolgere a qualcosa di esterno da te. Io non sono mai stata una persona ansiosa, non ho mai sofferto di attacchi di panico, ma mi rendo conto di quanto questo sia un sentimento dominante della nostra società che rischia di contaminare anche chi non lo prova in prima persona. Per il titolo ho ripreso l’acronimo ideato da Margaret Thatcher proprio per sottolineare questa differenza tra ieri e oggi. La Lady di Ferro usava dire che “non c’era nessun’alternativa” (there is no alteernative), per giustificare le sue decisioni. Oggi invece è l’esatto opposto: siamo immersi in una miriade di stimoli che ci fanno credere di avere davanti a noi tantissime alternative possibili. Lo si vede anche sul web con le fake news: ci sono così tante informazioni che diventa molto difficile discernere quelle vere da quelle false. Questa riflessione sulla modernità si è incarnata in quelle suggestioni fisiche di cui parlavo prima.

T.I.N.A. di Giselda Ranieri

La terza domanda è più ad ampio raggio. Cosa secondo te rappresenta il valore aggiunto del linguaggio della danza contemporanea?

Direi che è quel linguaggio in grado di affrontare la contemporaneità e di esprimere il proprio tempo. Riesce ad essere allineato con il presente anche perché è quello più sperimentale, che si pone meno codici e meno limiti rispetto ad altri. Si può fare l’esempio con le lingue: quanto più una lingua è scritta, tanto più è codificata e quindi fissa nei suoi schemi. Questo pensiero non può essere applicato alla danza contemporanea che si reinventa costantemente.

Come ultima domanda vorrei chiederti: se dovessi dare dei consigli a degli aspiranti danzatori che si approcciano professionalmente a questa disciplina, cosa diresti?

Darei loro il consiglio che è stato dato a me quando ho iniziato, ovvero di essere curiosi. Formarsi ed informarsi su tutto, quindi non solo sul proprio settore specifico, ma anche sulle discipline limitrofe che possono essere il teatro, le arti visive e la musica. (e oltre ad altri aspetti del sapere). Dal punto di vista più strettamente professionale direi che è fondamentale responsabilizzarsi e di essere informato sui diritti e doveri di un lavoratore dello spettacolo. È un settore che non è facile per tutti; le regole cambiano spesso, ci sono vincoli precisi e non c’è neanche tutta quell’informazione su questi aspetti che invece sarebbe necessaria. In ogni caso la curiosità rimane l’elemento necessario di partenza, insieme all’essere aperti al confronto con voci diverse dalla propria. Pian piano è importante iniziare a scoprire una propria voce personale e questo va al di là del coreografo con cui si lavora o della scuola che si può seguire. Bisogna essere sperimentatori di se stessi.

Alessandra Bracciali, Chiara Polvani e Noemi Terziani


Contenuto pubblicato nell’ambito del workshop di scrittura critica a cura di Stratagemmi e Teatro e Critica, in occasione di Invito di Sosta 2019, rassegna curata dall’Associazione Sosta Palmizi.