Mario Perrotta sembra costantemente affascinato dalle storie di alterità, dalle voci fuori dal coro, dai punti di vista non ordinari. Affermatosi come capace autore e narratore con il bellissimo Italiani Cingali (che raccontava vicende di emarginazione e razzismo, e raccoglieva le testimonianze dei migranti italiani in Svizzera negli anni Cinquanta), Perrotta si è accostato ad una figura non meno “ai margini”, quella del pittore Antonio Ligabue.
All’artista e all’uomo Ligabue, il Teatro dell’Argine dedica un progetto in molte tappe (per chi vuole conoscerle tutte, basterà dare un’occhiata al sito in costante aggiornamento), pensato per il triennio 2013-2015. Ad inaugurare l’ambizioso percorso è stato lo spettacolo Un bès – Antonio Ligabue, che ha debuttato nella primavera 2013 a Castrovillari e che è valso a Perrotta un Premio Ubu come migliore attore protagonista. Oggi il lavoro approda all’Elfo Puccini (1-7 dicembre 2014), dopo una precedente tappa milanese (estate 2013) all’interno della rassegna Da vicino nessuno è normale dell’Associazione Olinda, partner del progetto.
Se Italiani Cingali metteva a frutto le forme più classiche del teatro di narrazione, qui Perrotta sperimenta una modalità differente: Un bès è un monologo in prima persona portato avanti da un narratore confuso e inattendibile, lo stesso Antonio Ligabue. Goffo, scapigliato, dolente, Perrotta-Ligabue si muove sul palco accompagnando al racconto disegni eseguiti con mano febbrile ma sempre sicura, masticando tedesco ed emiliano, accarezzando o punendo gli interlocutori immaginari con l’implacabile carboncino. Dal flusso vorticoso di parole e immagini emergono le presenze e le assenze più significative della travagliata biografia del pittore: l’evanescente madre naturale, l’affetto della madre adottiva nei pochi anni di serenità in Svizzera, la crudeltà dei coetanei del periodo emiliano, i continui ricoveri psichiatrici.
Filo conduttore del disperato viaggio nella memoria sono la solitudine e il mai accontentato bisogno di un contatto affettivo: “dam un bès, un bacio”, supplica di continuo Perrotta, in omaggio alla quasi omonima canzone dei Nomadi. Visto dalla prospettiva del pittore – al quale non basterà una vita per rassegnarsi all’impossibilità di provare amore ed essere corrisposto – il mondo è un luogo crudele, incapace di accettare l’alterità, costantemente teso al profitto (si accorgerà di Ligabue, non a caso, solo quando le sue tele acquisteranno valore).
Ci troviamo molto distanti dall’esaltazione romantica del genio folle; Perrotta approfondisce, supera lo stereotipo, non si ferma alla didascalica rappresentazione di una biografia d’autore. E non stupisce trovare una riflessione sul talento e sulla vocazione nel cartellone del teatro dell’Elfo: anche il fortunato spettacolo Rosso – di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia – indagava i medesimi temi nella personalità del pittore americano Mark Rothko. Un dialogo a distanza che mette in discussione la definizione stessa di successo.
Maddalena Giovannelli