di Tennesee Williams
regia di Antonio Latella
visto al Piccolo Teatro Grassi di Milano_5-24 Marzo 2013
Si prova segreta soddisfazione e un pizzico di curiosità a sbirciare il pubblico degli abbonati del Piccolo Teatro di fronte al fortunato allestimento di Antonio Latella, doppiamente premiato con Ubu e Hystrio.
Abbagliati e frastornati dalle luci puntate sugli occhi, turbati dalle note violente di ATWA dei System of a down, spiazzati da attori che paiono mettere a nudo senza reticenze corpo e anima, gli spettatori milanesi restano però incollati alla sedia e non abbandonano la nave nemmeno dopo l’intervallo. Eppure lo spettacolo dura tre ore piene: ma il tempo scorre rapido, ed è difficile non farsi coinvolgere da quell’intenso, eccessivo, folle frammento di vita che vediamo sul palco.
Latella – sia chiaro – non fa nulla che non si sia, in qualche modo, già visto in questi anni. Elabora una scenografia dal forte impatto visivo e dal profondo valore simbolico; dirige magistralmente un gruppo di ottimi attori; porta al cortocircuito il lavoro sul corpo e quello sulla parola; fa esplodere le tensioni del testo con immagini potenti, non di rado disturbanti.
Fa, in un parola, teatro contemporaneo.
Ma se procediamo a una rapida ricognizione delle voci più sperimentali della scena italiana, le troviamo spesso alla prova con studi, drammaturgie non (o poco) verbali, testi brevi e scritti ad hoc per il performer, esperienze troppo spesso rivolte a un pubblico di nicchia.
Latella sembra invece qui mettere in gioco quegli strumenti per un’operazione di largo respiro, uno spettacolo completo e a tutto tondo. La sua è una regia che sembra recuperare il significato profondo di “lettura seconda”: il testo di Tennessee Williams viene qui attraversato con uno sguardo coerente e preciso, una lente che consapevolmente ingrandisce, altera, deforma. Latella ci mostra una vicenda in totale soggettiva: la protagonista Blanche (una eccellente Laura Marinoni), ripercorre gli eventi guidata da un dottore che la assiste, la interrompe, la incalza. Non c’è nessun realismo nel ricordo: la sorella Stella (Elisabetta Valgoi, premio Ubu come miglior attrice non protagonista) e il cognato Stanley (Vinicio Marchioni) sono trasfigurati, resi incoerenti dal senso di colpa e dal dolore, mentre i tempi dell’azione si dilatano e si contraggono come in un sogno.
Non da meno sono gli ambienti: schematici, bidimensionali, mai descrittivi, luoghi funzionali alla memoria e al racconto. Ed ecco allora emergere singoli dettagli ricorrenti nel testo (il copri-lampada simbolo della raffinatezza di Blanche o la vasca da bagno dove spesso si immerge per calmare i nervi), in una scena invasa da cavi, luci, microfoni solo apparentemente extra-diegetici.
Blanche ricorre, in funzione terapeutica, a una vera e propria ‘messa in scena’ dell’accaduto: i riflettori illuminano così un volto o un dialogo, in un’ostentata drammatizzazione di tutta la vicenda. Strumento per guardare la vita alla giusta distanza, e poterla così comprendere a fondo: questo – ci ricorda Antonio Latella – è il teatro.
Maddalena Giovannelli