Il truciolo è il materiale residuo della lavorazione del legno e dei metalli. È questo il simbolo che Francesco Rotelli e Luca Zacchini, in arte Gli Omini, hanno scelto per intitolare il loro ultimo spettacolo teatrale. Ma perché proprio Trucioli? Prima di entrare nella scarna – e proprio per questo così intima – saletta del Lavoratorio non sapevo bene cosa aspettarmi da questo spettacolo. Avevo un’idea non ben definita sul valore che gli autori potevano aver attribuito a questa parola, ma non mi sarei mai aspettata ciò a cui effettivamente ho assistito. 

Trucioli perché in fondo l’umanità estremamente frastagliata che Gli Omini portano sulla scena non è altro che uno scarto, un frammento impercettibile. Le nostre esistenze in fondo non sono che brandelli di vita quotidiana altrimenti destinati a dissolversi nel vento se nessuno si preoccupasse di conservarli accuratamente, per dare loro una nuova vita. È proprio questo ciò che hanno fatto Gli Omini negli ultimi quindici anni: hanno perlustrato l’Italia, grazie al progetto sociale e antropologico Memoria del tempo presente, semplicemente prestando ascolto, senza particolari pretese, a conversazioni sparse con i perfetti sconosciuti nei quali si imbattevano. 

Queste istantanee di quotidianità sono state in un secondo momento riunite e catalogate scrupolosamente per presentarle al pubblico. E gli spettatori restano affascinati nel momento in cui si trovano, semplicemente osservando il palco, catapultato nelle realtà più disparate, magari tra loro agli antipodi, e che sembrano non avere alcun nesso logico tra loro. In un certo senso noi spettatori siamo messi nella situazione di ripercorrere i passi degli Omini nel corso delle loro tappe, seguendo le indicazioni di una voce robotica femminile, quella di Google Maps, che ci porta dal Nord al Sud Italia e viceversa in un’ora che passa con estrema rapidità. 

Cambiano continuamente le voci, le tonalità, le parlate e i modi di esprimersi degli sconosciuti con i quali facciamo conoscenza sulla scena. Chi assiste allo spettacolo si trova come disperso in una realtà che lo confonde. Gli Omini però forniscono al pubblico continui indizi per captare più precisamente il senso profondo di ogni ritratto: ogni volta che un personaggio segue il precedente, viene mostrata al pubblico una diversa tessera sulla quale è scritto il titolo della sequenza, quasi fosse una parola chiave utile a interpretare meglio l’essenza degli interminabili  “trucioli” presentati sulla scena. 

“Interminabili” in questo contesto non suona assolutamente come un eufemismo: assistendo allo spettacolo si ha veramente l’impressione che le testimonianze, riprodotte dai due attori a ruota libera come le tracce di un jukebox, possano proseguire all’infinito. Ma Gli Omini fissano per così dire un limite alla loro performance. Infatti, a poco più di metà dello spettacolo, ecco che anche il pubblico entra in qualche modo on stage: è chiamato a scegliere, tra circa una cinquantina di tessere esposte in una gigantesca lavagna, il “truciolo” di cui vorrebbero sapere di più. Tra le tante opzioni possibili però Gli Omini fissano una soglia: sette o otto scelte, non di più. 

In Trucioli frammenti di esistenze eterogenee, disperse per l’Italia dei giorni nostri, finiscono per convivere e intrecciarsi in una storia che ha le parvenze di un caleidoscopio drammatico: via via che il pubblico effettua una scelta, scopriamo una diversa sfaccettatura dell’umanità. I confini temporali e spaziali sembrano completamente oscurati da una fitta nebbia che per quell’ora e un quarto di spettacolo avvolge lo spettatore tra le vite, semplicemente uniche nella loro ordinaria banalità quotidiana, di perfetti sconosciuti. Lo spettacolo, come una impercettibile lente di ingrandimento sociale, si propone di far emergere dall’abisso sondato schegge di un’umanità che può apparire banale, terribilmente naturale, talvolta paradossale, ma che è, in primo luogo, squisitamente reale e per questo degna di essere mantenuta in vita. E il tutto è sottoposto all’arbitrarietà del pubblico che, di volta in volta, può scegliere quale spaccato umano far sbocciare sulla scena.

Emma Boschi


foto di copertina: Stefano Di Cecio

TRUCIOLI
drammaturgia Giulia Zacchini
con Francesco Rotelli e Luca Zacchini
produzione Teatro Metastasio Prato
in collaborazione con Gli Omini

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Officina Critica