Artista eclettico, oltre che teorico e formatore, Guillaume Zitoun è autore di progetti complessi e partecipati, in grado di restituire attraverso linguaggi ibridi e crossmediali le realtà composite di un luogo e delle comunità che lo animano. ConTatto, il progetto che Zitoun presenta al festival Le Alleanze dei Corpi, si pone come una drammaturgia urbana condivisa, nata da un attraversamento dell’artista del quartiere di Via Padova e dall’ascolto delle storie di vita dei suoi abitanti. In questa conversazione, Zitoun esplora alcuni concetti-chiave della propria poetica, quali la sostenibilità e la raisonance.
Nello svolgimento della tua residenza artistica, i cittadini sono stati coinvolti in ogni fase: nella creazione di contenuti, nel processo creativo e nella sua restituzione in divenire. Qual è il confine, nel tuo approccio creativo, tra la sfera artistica e quella sociale?
Faccio spesso riferimento al concetto di confine, tuttavia lo interpreto come un limite che si può superare, come una zona di contatto tra diverse realtà sociali e fisiche, tra diverse emozioni e differenti concetti. È un potenziale da sviluppare e adattare grazie alla condivisione; questo metodo processuale non crea distanze tra i circuiti percettivi ed espressivi, ma anzi ne amplia l’esperienza. Credo che l’arte e la sfera pubblica siano categorie semantiche diverse, ma non percepisco alcuna differenza tra quello che è espresso e quello che è percepito: nel mio lavoro cerco le modalità con cui creare dei rapporti tra queste categorie, che in fondo sono solo teoriche. La mia arte è un tentativo di tradurre questa complessità attraverso un metodo strutturato, per cercar di non creare mai distacco tra percezione ed espressione, tra pubblico e artista.
Quale rapporto si stabilisce tra ambiente e corpo nelle tue creazioni?
La mia ricerca sul corpo è globale e non si limita a considerare soltanto il corpo fisico: quando faccio riferimento all’anatomia del territorio intendo descrivere il contesto nella sua ampiezza e sottolineare le relazioni tra realtà diverse in termini di contatto: il tatto a livello sensoriale ma anche l’utilizzo di tatto, di delicatezza. Durante le passeggiate artistiche sono tracciate alcune possibilità di movimento e di rapporto col corpo, ma il pubblico potrà partecipare assecondando le proprie preferenze: usando maggiormente il corpo, o invece ricorrendo in modo più netto alla vista e all’udito. Quello che mi interessa è coabitare uno spazio, nel quale condividere e compiere delle scelte.
Centrale nella tua opera è la nozione di raisonance, un metodo volto a cogliere e far emergere la complessità del reale attraverso linguaggi ibridi. Non a caso, le tue creazioni sono contraddistinte da grande varietà semiotica, da una forte attenzione al segno, al significante e alle sue possibilità di combinazione.
Potremmo tradurre raisonance con ragionanza: un gioco di parole ortografico e sonoro tra la parola raison, ragione, e resonance, risonanza. Lo intendo come un ecosistema di attualizzazione volto a fare emergere le varie relazioni tra il soggetto che percepisce, l’oggetto della percezione, il suo contesto e la sua intenzione. È un sistema aperto nel quale le categorie epistemologiche sono molto ampie e permettono possibilità di movimento e di esperienze diverse. Anche in questo senso è un sistema di eco: lo spettatore può fare emergere contenuti personali attraverso l’interazione con gli oggetti e grazie al rapporto semantico che si stabilisce tra lui e i segni; è una ricerca che permette di cogliere il senso e di usarlo per potersi esprimere e scambiare idee attraverso un linguaggio comune e ibrido. La raisonance è un sistema olistico in quanto considerato una forma di “intermondo”, se così può essere chiamato, nel esiste la possibilità di comunicare con enti spirituali e di tradurre tale comunicazione in gesti, parole, memorie. L’opera viene da e per il territorio: il pubblico è coinvolto a più livelli nel processo creativo, nella restituzione e nella percezione. Potremmo chiamarla “arte concettuale” perché consente di raccontare una storia comune ma vissuta in un’esperienza individuale.
Altrettanto rilevante è per te il tema dello sviluppo sostenibile: che ruolo nella tua arte?
La restituzione di questi tre giorni costituirà soltanto una tappa di un progetto più ampio. L’idea è quella di offrire ai cittadini l’esperienza di diverse aree socioculturali, di dare loro la possibilità di avere un altro rapporto col quartiere. Dietro questo lavoro c’è un pensiero molto pedagogico: creo dei pretesti per raccontare una storia e per sensibilizzare la popolazione a uno sviluppo sostenibile e responsabile. Quello che intendo per sviluppo sostenibile è un sistema di autoproduzione e di scambi di competenze, basato tanto su un lavoro collaborativo quanto sulla reale consapevolezza delle problematiche del luogo. È un tentativo di ragionamento collettivo su come migliorarsi personalmente e a livello globale. Ho iniziato a sviluppare questo concetto nel 1998 e i primi progetti concreti sono nati nel 2001. Sarei però pretenzioso a sostenere che in questo breve periodo abbia concluso l’opera: i frutti di questo progetto si raccolgono nel lungo periodo. Vedremo come si svilupperà nel futuro: rimarremo in contatto con le associazioni del posto, così da continuare a far viver il lavoro, volto alla creazione di buone pratiche.
Nella tua opera si ricorre al gioco in termini di atto volontario attraverso cui sperimentiamo un sistema di regole. In che modo è usata la regola e che relazioni mette in campo il gioco?
Il gioco è inteso come una reazione spontanea, che crea relazioni tra due elementi di qualsiasi natura. Il gioco è la meccanica più facile, l’interazione più semplice e naturale per poter esprimere un contenuto molto complesso e consentire, attraverso sistemi combinatori ben strutturati ed equilibrati, di rendere fruibile la vastità dei segni coinvolti. Uso forme estetiche molto semplici, come esagoni, cerchi, quadrati, perché cerco di stabilire un rapporto archetipico con l’oggetto. Le regole del gioco si autogenerano: si tratta in realtà di spiegazioni, di linee guida per intraprendere percorsi immaginari e narrativi. I mezzi sono gli stessi, ma i contenuti e le modalità cambiano per ogni progetto. Io sono uno scrittore ma non scrivo solo attraverso le parole e questa opera va letta come una drammaturgia che abbraccia tutte le realtà sensibili, concettuali ed emozionali e traduce, senza cercar di essere artificiale, tutto il processo di creazione e di percezione.
Shahrzad M. e Domiziana Sapone
Questo contenuto fa parte dell’osservatorio critico Raccontare le Alleanze