Ego primus: io per primo. Così si vantavano gli antichi Romani del primissimo impero quando creavano qualcosa. E nonostante siano passati secoli, le cose non sembrano cambiate di molto: i concetti di “repertorio” e “contaminazione” sono nella nostra cultura occidentale antitetici: rimaniamo, oggi più che mai, ancorati alla firma creativa, al diritto d’autore e ai diritti di riproduzione.
Giselle di Jean Coralli e Jules Perrot è repertorio del Teatro alla Scala dal 1843 (appena dopo la sua prima rappresentazione assoluta) e nella versione coreografica di Yvette Chauviré è repertorio scaligero dal 1983. Una tradizione di lungo corso che dà i suoi frutti: il corpo di ballo milanese “la Giselle” la balla benissimo, e l’opera rimane un titolo molto amato e richiesto dal pubblico meneghino. Insomma un classico intoccabile, tanto che immaginare una Giselle “contaminata”, magari ibridata con elementi autoriali forti, potrebbe far pensare a un “inganno”.
A meno che non si consideri il concetto di “contaminazione” in un’ottica altra, orientale: al modo, per esempio, in cui nell’India classica e contemporanea si interpretano i Purāṇa, l’epica popolare che non conosce autori né fissità, e che, anzi, non la cerca neanche. La contaminazione e il continuo mutamento sono infatti la difficoltà e anche la bellezza dei Purāṇa: non c’è niente di negativo o ingannevole in un repertorio ibrido che si innova, anche perché tutti lo sanno e se lo aspettano.
La prima rappresentazione di Giselle dello scorso 17 settembre con le grandi star del balletto Svetlana Zacharova (étoile del Teatro Bol’šoj di Mosca e della nostra Scala) e David Hallberg (primo ballerino dell’American Ballet Theatre di New York e dell’Australian National Ballet di Sidney) è stata in questo senso una Giselle ‘purāṇica’ – anche se nel cartellone si legge «versione Chauviré»!
Zacharova ha infatti presentato molti elementi della versione moscovita di Jurij Grigorovič, mentre Hallberg una versione newyorkese di Kevin McKenzie, particolarmente evidente nella coda dell’atto II con una diagonale di brisés e un manège di temps levés in attitude, invece dei trentadue tempi di batterie entrechats six, che siamo abituati a vedere alla Scala. Zacharova è una danzatrice perfetta, forse troppo perfetta, nel senso che ha una sua firma riconoscibilissima, al punto da svilire certi elementi stilistici che connotano i ruoli. La contadina Giselle dell’atto I e la willi Giselle dell’atto II sono diverse, con stili molto specifici, come il tronco portato in avanti nelle arabesques (in particolare con il partner); eppure, spesso i tratti stilistici venivano sovrastati dalla personalità dell’interprete. E nonostante la sua maturazione attoriale sia apparsa evidente (ad esempio nella scena della follia di Giselle che chiude il primo atto) la sua performance rimane molto estetica (ed estetizzante); tuttavia, le va riconosciuta una certa partecipazione emotiva sia individuale sia relazionale con gli artisti sulla scena.
La prima ha visto sulla scena un cast “maturo”, frutto di una scelta precisa: non svilire l’aspetto drammaturgico di questa Giselle. Il trio amoroso che crea il nucleo drammatico dell’opera vede allora, accanto a Zacharova, un elegantissimo David Hallberg nel ruolo del principe Albrecht, che con le sue linee “da design”, i suoi ports de bras da cornice barocca e il suo viso tragico da attore shakespeariano regala bellezza ed emozione: un principe d’altri tempi e allo stesso tempo un uomo confuso, egoista ma capace di tornare sui suoi passi e assumersi la responsabilità, del XXI secolo. Chiude il trio un energico Mick Zeni (primo ballerino di casa Scala) nei panni del cacciatore Hilarion: geloso innamorato rifiutato, presenta l’ossessione criminale degna di un personaggio da cronaca nera dei nostri giorni, un femminicida pentito.
Completa il primo atto la coppia di sposi felici che fa da specchio e contraltare all’amore tormentato di Giselle e Albrecht: i due contadini che danzano per la nobiltà presente nel villaggio sono Martina Arduino e Nicola Del Freo, rispettivamente prima ballerina e ballerino solista del Teatro alla Scala. Li vediamo danzare un pas de deux completo di introduzione, adagio, variazioni e coda, che rappresenta un momento di grande tecnica e virtuosismo del balletto.
Una coppia ben assortita soprattutto nelle figure precise e uniformi che sanno creare: Del Freo è un partner sicuro e affidabile e, nonostante le braccia talvolta rigide, ha un salto potente e una velocità brillante di basso gamba, che gli permettono precisione e puntualità nelle difficili sequenze di sissonnes e cabrioles e di batterie di brisés volés in avanti e indietro; Arduino con il costume del busto troppo morbido e ‘ballerino’ (soprattutto per il numero elevato di currus sulle punte e piccoli salti) possiede il dono della cura del dettaglio come la rotazione en l’air o il port de bras Cecchetti, che fa da cornice nello specifico stile ottocentesco. La danzatrice di Moncalieri possiede poi l’arte di trasformare sé stessa dalla principessa del suo quotidiano a una convincente contadina.
Nel secondo atto invece – quello delle implacabili Willi nei loro degas bianchi e acconciature nere che coprono l’orecchio – emergono María Celeste Losa come Myrtha, regina delle Willi, e le due Willi ancelle di Emanuela Montanari e Alessandra Vassallo, tutte e tre ballerine soliste del Teatro alla Scala. Purezza delle linee, forza ed energia nascoste dallo stile che deve “annullare” lo sforzo per mostrare solo l’inconsistenza eterea degli spiriti delle fanciulle defunte ingannate dall’amore. Un trio perfettamente assortito, capace di spianare le differenze fisiche individuali in nome della recita e dell’immedesimazione nei ruoli. Con loro, tutto il corpo di ballo del Teatro alla Scala ha mostrato un’ottima capacità tecnica e interpretativa rendendo questa Giselle personale senza snaturare la tradizione del proprio repertorio.
Nel suo essere “classico”, Giselle è infatti un’opera tutt’altro che rigida, in grado di adattarsi al bisogno di attualità, declinando il suo insegnamento alla società che viviamo. Del resto, è la stessa trama del balletto – di origine ottocentesca ma forse figlia di un folklore ancora più antico – a rendere Giselle nostra contemporanea: non c’è nessuna principessa che aspetta di essere salvata, ma sarà proprio Giselle a proteggere il suo principe dalla sentenza di morte di Myrtha e delle Willi. In fondo, la Disney coi suoi classici aggiornati, fatti di eroine e principesse emancipate, non ha inventato nulla di nuovo!
Domenico Giuseppe Muscianisi
Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala.