Festival Primavera dei Teatri
28 maggio – 2 giugno 2014 – Castrovillari

Bisogna dare atto a Saverio La Ruina, Dario De Luca, direttori artistici, e Settimio Pisano, nel ruolo più defilato ma non affatto secondario di direttore organizzativo, che Primavera dei Teatri non è solo la più importante vetrina teatrale del sud d’Italia, ma è stato il luogo dove, nel tempo, si sono affacciati artisti oggi famosi, quando i loro nomi erano ancora pressoché sconosciuti: Fausto Russo Alesi, Ascanio Celestini e Fausto Paravidino, per citarne solo alcuni.

Non stupisce che, in una stagione nella quale il rapporto fra le generazioni si è fatto problematico, anche e specialmente per motivi socioeconomici, il tema delle dinamiche interne alla famiglia, esplorato da diversi angoli visuali, ricorresse con una certa frequenza in questa quindicesima edizione. Nel calabrese Patres di Scenari visibili, apprezzabile anche per la riuscita commistione di linguaggio coreutico e verbale, tale rapporto è evocato in forma onirica dalla stralunata affabulazione di un figlio, cieco e mezzo demente. Quasi iperrealistica, invece, La prima cena di Teatrino dei fondi, dove la nitida scrittura di Michele Santeramo e la regia di Michele Sinisi restituiscono, con una serie di colpi di teatro, il quadro dei velenosi, rissosi legami di un gruppo familiare, invischiato nella spartizione di una beffarda eredità.
Anche in Atridi/Metamorfosi del rito viene declinato lo stesso tema, ma la piemontese Piccola Compagnia della Magnolia, stemperando alcune belle invenzioni registiche in una quantità di materiali meno felici, non raggiunge l’obiettivo, affascinante ma ambizioso, di assumere il mito greco come archetipo dei meccanismi distruttivi della famiglia.

In Discorso celeste di Fanny&Alexander, l’argomento dichiarato è lo sport come esperienza religiosa: una tesi che, anche a posteriori, continua a risultare criptica. Ma è il rapporto fra padre e figlio ad innervare l’intero spettacolo, ove la presenza dei due Gleijeses – il figlio Lorenzo, solo in scena, in una coscienziosa esibizione atletica, e il padre Geppy, pervasiva voce fuori campo – domina uno spettacolo tutto sopra le righe, sul piano acustico (le musiche di Mirto Baliani) come nei fantasmagorici ma quasi accecanti effetti scenotecnici.
Sconcerta ma cattura l’umorismo surreale, un po’ alla Copi, de L’anarchico non è fotogenico, di quotidiana.com. Roberto Scappin e Paola Vannoni, in un capitolo della trilogia Tutto è bene quel che finisce (tre capitoli per una buona morte), declinano impassibili, quasi funerei, perle di saggezza travestite da castronerie (o forse l’inverso?), sortendo nel pubblico effetti di acida ilarità.
Chi, dopo l’attribuzione a Mario Perrotta del premio Ubu come miglior attore, si fosse aspettato con Pitùr una sorta sequel di Un bès, ha avuto un sussulto di sorpresa. Con apprezzabile coraggio, l’accattivante affabulatore che conosciamo dai tempi di Italiani cincali! ha sparigliato le carte. Nello spettacolo prodotto da Teatro dell’argine si ritaglia il ruolo di borbottante, quasi clandestino personaggio-coro, mentre in scena sette attori/mimi/danzatori/cantanti si muovono spostando pannelli bianchi, sui quali si proiettano frammenti di pittura. Le slabbrature dei movimenti coreutici e l’intonazione incerta dei cori si direbbero frutto di una consapevole scelta drammaturgica, che restituisce nelle forme di una non levigata poesia un ritratto verace del pittore Antonio Ligabue, “lo scemo del paese”, rivelando in Perrotta un amore autentico per quella figura, oltre a un impegno sincero contro ogni forma di discriminazione del diverso.

Non una scoperta, ma una conferma, il fascino della scrittura, a un tempo bassa e visionaria, di quel sorprendente outsider che è Antonio Tarantino, con Namur (o della guerra e dell’amore), del Teatro Kismet Opera. Teresa Ludovico, regista e anche interprete accanto a Roberto Corradino, offre carne e sangue alla figura di una matura vivandiera napoleonica, tanto navigata quanto romanticamente naïf.
Con l’amara farsa Hamlet travestie di Punta Corsara/369 gradi, quelli che erano i selvatici ragazzi di Scampia, diretti da Emanuele Valenti, dimostrano una compiuta, acquisita professionalità artistica. Qui, nella riscrittura dello stesso Valenti e di Gianni Vastarella (ambedue in scena), il testo è fornito da una parodia settecentesca dell’Amleto, napoletanamente contaminata col Don Fausto di Antonio Petito. Bravi ed efficaci tutti gli attori, ma una menzione speciale merita la irresistibile mimica facciale (vorrei dire oculare) di Giuseppina Cervizzi.
Da citare ancora, prodotto da Scena Verticale, il gradevole Va’ pensiero, che io ancora ti copro le spalle, lo spettacolo col quale Dario De Luca, dopo Morir sì giovane e in andropausa, prosegue nella sua Trilogia del Fallimento, incastonando le canzoni di Giuseppe Vincenzi: un esplicito omaggio a quella forma tutta italiana di teatro musicale, inventata da Gaber e Luporini.
Come si è detto, Primavera dei Teatri è stato spesso un trampolino per artisti esordienti e, a mo’ di auspicio, concluderei con una segnalazione. Davide Fasano, un attore appena diciottenne, ha debuttato in Scarpestrette, uno spettacolo forse non del tutto riuscito, ma la sua interpretazione è stata davvero sorprendente. Credo che di lui sentiremo ancora parlare.

Claudio Facchinelli