Ha un nome importante il nuovo spazio teatrale all’aperto di Teatro Due, appena inaugurato a Parma con una ambiziosa stagione estiva fitta di spettacoli, incontri, lezioni, reading di poesia con autori, attori e grandi nomi internazionali (8 giugno – 17 luglio, teatrodue.org). Seminascosto dietro il teatro, svettante sulle case circostanti e sul parcheggio Goito, il nuovo spazio ci appare dal basso come un castello aereo, sospeso, leggero. La struttura, vista dall’esterno, ricorda l’architettura teatrale dell’epoca di Shakespeare (e difatti ha ospitato come primo spettacolo Sogno di una notte di mezza estate, con musiche di Mendelssohn, lo scorso 22 giugno). Ma una volta entrati ci rivela uno spazio più ‘alla greca’, sul modello dei teatri antichi (di dimensioni paragonabili a quello di Akrai/Palazzolo Acreide o alla metà di Siracusa): la cavea riservata al pubblico, cui si accede da due ingressi laterali, è un semicerchio di nude gradinate che si surriscaldano al sole; lo spazio spettacolare unisce l’antica scena e l’orchestra, senza dislivelli né soluzione di continuità; la parete di fondo che sostituisce l’antica skenè si apre e si chiude, scorrendo, a svelare un ‘interno’ (in modo simile al meccanismo in uso nel teatro greco), ed è perfino sovrastata da un camminamento sopraelevato per gli attori (sul modello dell’antico Theologheion).
L’influenza del teatro antico si fa chiaramente sentire non solo nello spazio, ma anche in quel che avviene qui dentro, a confermare la regola generale per cui il “contenitore teatrale” condiziona fortemente il contenuto: si vedano a riguardo le osservazioni di Francesca Serrazanetti sulle rappresentazioni a Siracusa (per il 2016 e 2017). Simili osservazioni, a corollario del principio sopra citato, tornano utili nel valutare quest’arena e in particolare l’allestimento dei Persiani di Eschilo che ha debuttato qui in prima nazionale.

Lo spazio scenico modella pesantemente questa versione della tragedia, la più antica conservata integralmente (472 a.C.), l’unica con un argomento storico (anziché mitico) relativo a fatti di pochi anni prima (ben presto entrati nella leggenda, grazie anche allo storico Erodoto, e in anni recenti tornati in auge con fumetti e film come 300). Qui però la spedizione militare in Grecia del persiano Serse, la sua sconfitta a Salamina, la letale ritirata verso la Persia sono rappresentate genialmente da Eschilo rovesciando il punto di vista: la vittoria greca diviene nella sua drammaturgia la tragedia dei Persiani, raccontata dai sopravvissuti tornati in patria, alla reggia di Susa.
Dei Persiani ho visto in passato molti memorabili allestimenti site specific, concepiti appositamente per luoghi (o non-luoghi) teatrali e non, tutti unici e suggestivi: un’ex centrale nucleare vicino a Genova (I Persiani alla Fiumara del Teatro della Tosse, 1998) o il cimitero militare germanico al Passo della Futa (ArchivioZeta, 2003) – si veda M. Treu, Persiani: i luoghi, in Cosmopolitico. Il teatro greco sulla scena italiana contemporanea, Milano, 2005.
Dal 2001 in poi l’esacerbarsi dello scontro tra Oriente e Occidente ha prodotto una serie infinita di versioni ‘attualizzanti’ delle tragedie e in particolare di questa, in luoghi-simbolo come Ground Zero a New York o la stessa Siracusa. A questa tendenza si contrappone nettamente la messinscena vista a Parma, sin dal canto d’ingresso del coro (parodos) di vecchi Persiani che apre la tragedia: anzi la prima nota piacevolmente spiazzante è vederli interpretati da sette baldi giovani, curiosamente vestiti con marsina nera, camicia bianca, pantaloni alla pescatora, scarpe nere con suola bianca. Il loro aspetto contrasta con l’ansia e l’incertezza che esprimono nel canto (sulla sorte dell’esercito partito con il re Serse verso la Grecia e non ancora tornato) e con cui accolgono la Regina dei Persiani e madre di Serse (una misurata Elisabetta Pozzi). Già in queste prime scene è chiaro che il regista Andrea Chiodi evita il più possibile riferimenti al contemporaneo, o interventi attualizzanti sul testo: anzi semmai ne sottolinea gli elementi arcaici. In particolare colpisce il suggestivo catalogo dei nomi propri persiani dei soldati dispersi, nel canto corale che valorizza opportunamente la bella traduzione di Giorgio Ieranò con sonorità elettroniche, ritmo rap, movenze sincopate da discoteca.
La scelta registica è chiara: rinunciare quasi completamente a tentazioni modernizzanti, o connotazioni in chiave politica, per sfruttare invece pienamente il contesto e l’intero spazio spettacolare all’aperto, compreso il piano rialzato che sovrasta la scena, dove appare, suonando una sorta di oboe o aulos, il messaggero appena giunto dalla Grecia (il convincente Ivan Zerbinati). È incaricato di riferire alla Regina la sconfitta dei Persiani e narrare dettagliatamente la disfatta di Salamina. Questo è a mio parere uno dei momenti più intensi dello spettacolo, sia per la reazione della Regina (il suo urlo muto di dolore, mentre cade – sorretta e al tempo stesso trattenuta dal coro – in una sorta di svenimento al ralenti) sia per l’evocazione quasi cinematografica della battaglia navale, dove i particolari macabri dei corpi straziati dal mare e mangiati dai pesci ci fanno pensare, tristemente, ai naufraghi che da Est e da Sud oggi arrivano alle nostre coste. Ma tolto questo riferimento, come si è detto, nulla sembra rimandare ai giorni nostri nell’intero allestimento. Le scene di Matteo Patrucco e i costumi di Ilaria Ariemme rievocano evidentemente un classico ‘senza tempo’: un enorme albero di olivo sulla sinistra; una gigantografia in bianco e nero di un aitante giovane, dal sapore rétro, sul fondale; figure statuarie a cavallo che appaiono in posa e sfilano a rallentatore nel riquadro della porta aperta sul fondo, come in una metopa del Partenone.
In particolare colpiscono i suoni di Daniele D’Angelo, proprio per la mescolanza di generi e per l’assenza di riferimenti all’Oriente – tranne forse nel canto vagamente mediorientale con cui, dopo il racconto del messaggero, la Regina evoca lo spettro di suo marito Dario (Alberto Mancioppi). Grazie alle musiche, lo spettacolo valorizza il coro come valido comprimario dei protagonisti, talvolta vero fulcro della scena. In perfetta sincronia i coreuti sono affiatati, efficaci, compatti fino alla dura requisitoria pronunciata all’unisono, nell’ultima scena, contro Serse (interpretato da Raffaele Esposito). Il re colpevole di essere tornato solo, senza esercito, e aver condotto il suo popolo alla rovina, è bersagliato dalle loro parole come veri e propri dardi e alla fine soccombe: solo il buio lo accoglie, in silenzio, annientato, accasciato al suolo, cinto dall’abbraccio di sua madre.

Dopo questa bella prova, degli attori e del coro, l’appuntamento più atteso è per noi il prossimo Lunedì 10 luglio: mentre a Siracusa si concludono le repliche delle Rane di Aristofane (9 luglio) quasi in una staffetta ‘classica’, l’Arena Shakespeare ospita una replica straordinaria della stessa commedia nella brillante versione dell’Ensemble Teatro Due. Lo spettacolo in origine era destinato proprio a questo luogo, ma a causa dei ritardi nella costruzione ha ripiegato sui teatri al chiuso, girando per anni in tournée con grande successo (qui l’articolo pubblicato su Stratagemmi). Ora finalmente queste Rane tornano nel luogo per cui erano state concepite. E il loro finale – un inno alla poesia, alla cultura, alla letteratura e all’arte – ci appare degno coronamento di una stagione che ben rappresenta questo spirito di ‘resistenza’. Dopo le lezioni di studiosi dei classici (Salvatore Settis, Luciano Canfora, Pierre Judet de la Combe), nei prossimi giorni gli incontri di ‘Poesia in Arena’ vedranno la partecipazione di attori e autori come il drammaturgo inglese Tony Harrison, celebre per le sue riscritture di Orestea, Medea, Prometeo (12 luglio) e la prima esecuzione italiana di estratti della monumentale Odissea di Nikos Kazantzakis, nella traduzione di Nicola Crocetti  (13 luglio). Resuscitare Eschilo, ma anche Omero, è un bel modo di “salvare la città e conservare il suo teatro” come recita il finale delle Rane e come sarebbe piaciuto ad Aristofane.

Martina Treu


I Persiani

di Eschilo
regia di Andrea Chiodi
visto all’Arena Shakespeare di Parma_5-6 luglio 2017

Appuntamenti all’Arena Shakespeare

10 luglio 2017, ore 21.00
Le Rane
di Aristofane
diretto e interpretato Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Gigi Dall’Aglio, Luca Nucera, Marcello Vazzoler

12 luglio 2017, ore 21.00
‘Poesia In Arena’ Adam Zagajewski, Tony Harrison e Sian Thomas
lettura in italiano Maria Paiato e Elisabetta Pozzi

13 luglio 2017, ore 21.00
‘Poesia In Arena’ Dall’Odissea di Omero all’Odissea di Nikos Kazantzakis
Per attore e pianoforte
Prima esecuzione italiana sulla traduzione di Nicola Crocetti

17 luglio 2017, ore 21.30
Les Nuits Barbares ou les premiers matins du monde
di Cie Hervé Koubi