di Gabriele Frasca
regia di Alessandra Cutolo
visto all’interno della rassegna “Stanze. Esperienze di teatro d’appartamento a Milano”
un progetto di Alberica Archinto e Rossella Tansini
9 ottobre 2013
“Uno finisce che si sveglia un giorno”: così inizia Uno di Gabriele Frasca, in una stanza d’appartamento milanese.
Se in un altro spettacolo della rassegna Stanze, Essere Norvegesi, lo spazio chiuso e privato si allargava fino a diventare spazio altro, in Uno viene esaltata la dimensione ossessiva, l’impossibilità di uscire da un perimetro esistenziale ormai stabilito, come può essere quello di una coppia di mezza età, impersonata, in questo caso, da Tommaso Ragno e Daniela Piperno.
Il testo di Frasca, noto ai lettori delle sue poesie – appartiene alla raccolta Rive (2001) ma è raccolto anche in Poesie scelte 1977-2007 (2008) – presenta nove risvegli, tutti apparentemente uguali, percorsi da una tensione permanente tra veglia e sonno, novità e ripetizione che tiene legati i due protagonisti. Tensione che percorre anche il tessuto testuale, gli endecasillabi di Frasca, cui Ragno e la Piperno, sotto la direzione della Cutolo, danno consistenza fisica attraverso i movimenti talvolta fluidi, talvolta violenti su cui si costruisce lo spettacolo. Se si eccettuano i momenti in cui Tommaso Ragno si alza, in cui cerca di sfuggire alla ripetitività, i due protagonisti si limitano ad agire in una dimensione orizzontale.
Questa partitura di azioni evoca, fornendone un contraltare, lo slancio in verticale di Winnie in Giorni Felici, dentro e fuori i monticelli di terra. Sembra essere infatti Beckett il terreno sul quale avviene l’incontro tra il testo di Frasca e la regia della Cutolo. Nessuno dei due, parafrasando Winnie, si “scorda dei classici”: né Frasca, traduttore e critico di Beckett, né la Cutolo, che all’autore anglo-irlandese ha già dedicato Desurrezione e K.O – quest’ultimo libera rilettura proprio di Giorni Felici, significativamente ambientato in nello spazio chiuso di un ring. I classici qui aiutano a “passare il giorno”: un giorno che inizia ossessivamente nello spazio chiuso di una stanza, nel perimetro ristretto del talamo.
Indovinatissima, vero e proprio volano per lo spettacolo, la collocazione nello spazio chiuso e soprattutto privato di una stanza da letto: se – come scriveva Guido Piovene – “forse Milano è la città del mondo in cui moglie e marito escono meno insieme”, le curatrici di Stanze sono riuscite a creare un cortocircuito riunendo nella stessa camera da letto un pubblico meneghino di diverse età e una coppia che espone le nevrosi e le ossessioni che lo riguardano. Si conferma, proprio attraverso questo elemento, il valore di una rassegna capace di interrogarsi con grande intelligenza su spazi e possibilità del teatro.
Sara Sullam