Al Teatro Mecenate di Arezzo, per la rassegna Invito di Sosta diretta dall’Associazione Sosta Palmizi, è andato in scena Animale, ideato da Francesca Foscarini e Cosimo Lopalco, e interpretato da Romain Guion. Abbiamo raggiunto telefonicamente la coreografa Foscarini per una conversazione sullo spettacolo e sul suo percorso.
Come ha vissuto il passaggio da allieva di una generazione a insegnante di un’altra?
Io mi sento ancora un’allieva, questo è sicuramente il mio primo pensiero. Sento ancora tanta sete di sapere e voglia di mettermi in discussione; magari ora il mio modo di studiare avviene attraverso altre forme, non solamente attraverso la pratica del corpo ma anche attraverso lo studio teorico, avvicinandomi ad aree d’interesse non direttamente legate alla danza ma che sicuramente alimentano il mio pensiero e quindi la mia creatività. Quando si dice «non si finisce mai d’imparare». è veramente così. La pratica dell’insegnamento mi permette di esplorare quello che ancora non si sa attraverso l’altro, attraverso la relazione. Penso che non si possa capire profondamente questo concetto fino a che non si passa dall’altra parte. Nell’ultimo periodo sto scoprendo quanto mi piaccia insegnare ed essere testimone del cambiamento che avviene nell’altro. Quando questo succede, è un prezioso regalo che si riceve.
Cosa l’ha spinta a diventare coreografa?
Un po’ d’incoscienza (ride, ndr)! Non c’è stato un momento rivelatore che mi abbia fatto capire che avrei iniziato a fare la coreografa. Mi è arrivata una proposta che all’epoca non avrei nemmeno cercato. La stessa cosa è avvenuta col ritrovarmi a essere danzatrice professionista, da poco maggiorenne e completamente ignara di tutto quel mondo che avrei scoperto più tardi. Certamente c’è stata fin da piccola una forte attrazione per il movimento, la musica e la danza, e questo mi ha portato a iscrivermi nella scuola del paese, ma non posso dire che quello fosse il mio sogno di bambina. A posteriori direi che la necessità è stata quella di ritagliarmi uno spazio di esistenza, di esistenza vera. È uno spazio che la scena mi può dare, sia come interprete che come coreografa. Nel ruolo di coreografa sento maggiore la responsabilità della comunicazione che trasporto, un mettermi a nudo, anche spericolato, avventuroso, fragile e anche per questo bellissimo.
Parlando invece della sua ultima opera, cosa ci può dire del processo artistico che ha portato alla creazione di Animale?
Animale nasce su commissione della Biennale di Venezia. Nel 2018 mi chiamarono per presentare un lavoro già prodotto, Vocazione all’asimmetria, e per crearne uno nuovo: volevano un assolo per un altro danzatore. Da lì sono entrata in contatto con Romain Guion, danzatore francese, già collaboratore di Alain Platel, che avevo conosciuto per aver partecipato a Lucky Trimmer, un festival berlinese che cura da diversi anni. Insieme a Cosimo Lopalco, il drammaturgo con cui collaboro regolarmente, avevamo già da tempo la voglia di fare qualcosa su Antonio Ligabue, pittore di animali e di autoritratti, profondo esploratore della natura e del sé, e così, cogliendo l’occasione, siamo partiti. Ci siamo avventurati nell’esplorazione etimologica della parola “animale”, partendo dalla sua radice indoeuropea “ane” che condivide con la parola “anima” e che nelle varie lingue esprime ora il soffio vitale, ora il vento, ora il respiro. Abbiamo visto i quadri di Antonio Ligabue nelle mostre, nei musei, raccolto informazioni, materiale audio, video. Ci siamo poi aperti a letture e riflessioni – John Berger, Jacques Derrida… – che hanno arricchito e guidato le nostre pratiche. Successivamente abbiamo incontrato Romain Guion, condividendo con lui e la sua sensibilità, le pratiche individuate e il materiale coreografico emerso.
Ci sono stati alcuni momenti in questo processo che sono stati fondamentali?
Direi la residenza di alcuni giorni a Parigi all’Istituto di Cultura con la visita al Museo della Caccia. Lì ci siamo imbattuti in un video molto significativo dell’artista francese Maïder Fortuné: un unicorno bianco sotto la pioggia, che pian piano ne rivela il vero aspetto, quello cioè di un normale cavallo. Ne rimanemmo davvero incantati, come se avessimo avuto un colpo di fulmine, e infatti dopo averne chiesto i diritti siamo riusciti a inserirlo all’interno dello spettacolo. A Londra inoltre, alla Welcome Collection, siamo andati a vedere una mostra che riguardava la relazione tra uomo e animale. È qui che ci siamo imbattuti casualmente – il caso nelle creazioni gioca spesso un ruolo attivo – in questa raccolta sonora in cui vari artisti/compositori mescolano la lingua degli animali ai suoni degli ambienti naturali. Queste composizioni sono state determinanti nell’accedere in modo istintivo al tema. Mi hanno permesso, durante le improvvisazioni, di sprofondare in uno spazio e un tempo “altro”. Sono stati, devo dire, la base per la creazione di un vocabolario fisico che poi è entrato con grande forza nella scrittura del lavoro.
L’ultima domanda riguarda una sua esperienza passata. Cosa ci può dire riguardo al duo Vocazione all’asimmetria?
Questo duo prende spunto dalla relazione con l’altro e dal concetto filosofico di Emmanuel Lévinas per cui la presenza dell’altro implica sempre la responsabilità verso l’altro. Detta brevemente e semplicemente, c’è sempre una tensione, data dal fatto che tu, l’altro, sei di fronte a me e io non posso ignorarti proprio perché attraverso la tua presenza fisica ti riveli a me. Lévinas porta l’attenzione al volto che è l’elemento con cui la presenza dell’altro si rivela, viene identificata. Ecco questo è stato il punto di partenza per la ricerca sul tema della relazione, la mia come performer in relazione con il pubblico, ma anche con il performer con cui condivido la scena (Andrea Costanzo Martini, ndr). Oltre a questo c’è stato un lavoro profondo sull’intenzione e sulla presenza, con un uso specifico dello sguardo, con un porsi delle domande che continuano ancora oggi a dare vita e senso ai miei lavori: da quale immaginario, da quale condizione emotiva mi lascio attraversare? Oppure, ancora: che cosa devo attivare per potermi lasciare attraversare? Cosa mi muove? Cosa mi commuove?
Alessandra Bracciali, Chiara Polvani e Noemi Terziani
Contenuto pubblicato nell’ambito del workshop di scrittura critica a cura di Stratagemmi e Teatro e Critica, in occasione di Invito di Sosta 2019, rassegna curata dall’Associazione Sosta Palmizi.