Regia di Stefano Cordella
Drammaturgia della compagnia Oyes
Visto allo Spazio Tertulliano _ 14- 20 ottobre 2014

La vita è un conto alla rovescia, esattamente come quello dell’ultimo dell’anno: c’è chi la passa come la signora Anna Maria davanti alla tv, fantasticando di viaggi lontani e frequentazioni da jet set del piccolo schermo e c’è chi, come suo marito Ruggero, la trascorre lontano dalla famiglia, in qualche ‘paradiso organizzato’ (leggi villaggio vacanza), in compagnia della bellona del luogo. Infine ci sono quelli come Attilio e il suo amico Edo, figli trascurati e sperduti, che si consumano tra fantasie sessuali e alienazioni multimediali.

Con Va tutto bene, la giovane compagnia Oyes, diretta da Stefano Cordella, confeziona una commedia agrodolce sul tema dell’assenza, intesa qui con duplice polarità. Da una parte c’è quella negativa e asfissiante: la maledizione di quotidiana frustrazione scaturita dalla fuga di un padre egoista che porta i familiari abbandonati ad ‘aspettare Godot’ in una cappa di dolorosi irrisolti. Dall’altra quella positiva, e assai meno metaforica, della morte: il cadavere del genitore disertore e fedifrago (stroncato da un infarto mentre fa bisboccia) viene riconsegnato ai suoi cari, ratificando, ma allo stesso tempo inverando, una condizione rimasta troppo a lungo astratta nelle menti (piuttosto sempliciotte) dei congiunti. Le spoglie colmano il vuoto e offrono la possibilità di una cesura netta, di una presa di coscienza, di un nuovo inizio: la ‘livella’, sembrano suggerire gli Oyes, riporta tutti coi piedi per terra (perfino i defunti), ricordando che il gioco dura poco e che non è mai troppo tardi per mettere la testa a posto.

Sarà forse inconsapevole, ma lo schema che traccia Va tutto bene richiama alla lontana quello benpensante di certi romanzi rosa: la rifondazione della felicità familiare passa attraverso l’annullamento di un’anomalia (quella del marito fuggitivo), tanto che anche l’amante (la bellona del villaggio) si rivela nella sua ‘irrequieta’ umanità, smette i panni dell’antagonista e viene assorbita, nonché riconosciuta, all’interno del sistema degli affetti. E poco importa se in questo ripristino di serenità familiare si manifestano, verso il finale dello spettacolo, i presagi di nuovi disequilibri (il bebè abbandonato, il figlio che se ne va di casa, ecc.): una volta azzerato, il meccanismo si riavvia, riprendono le disavventure dei protagonisti ma anche l’inesorabile processo ‘ricompositivo’ che porterà (ne siamo certi) a un nuovo acme di edificazione.

Se la regia ben supporta l’impianto narrativo – facendo della dissolvenza incrociata lo strumento primo con cui infondere vivacità al susseguirsi delle scene – e la colonna sonora olia con un pizzico di furbizia alcuni passaggi difficoltosi, è soprattutto nella drammaturgia che si registra quella propensione al conformismo tipica della retorica ‘rosa’.

Le grandi verità (“ognuno, il nome, dovrebbe sceglierselo da solo! Tanto tutti ti chiamano già come vogliono”), il patetismo (“una donna diventa brutta e triste senza le carezze di un uomo”), il raziocinio popolare a buon mercato (la cucina della nonna, la saggezza della nonna, qualunquecosadellanonna) storpiano il proposito originale di far risaltare nell’umanità, nella solidarietà, nella dolcezza della ‘povera gente’ quella aurea mediocritas di cui è capace. L’impresa eccezionale sarà pure quella di essere normali , come cantava qualcuno, ma se la grammatica a cui si attinge nel raccontarla è la stessa che si critica (quella televisiva in primis), solo modulata secondo una versione più aggiornata e ‘palatabile’ alle nuove generazioni, il risultato rischia sempre di essere quello di un intrattenimento fine a se stesso e intimamente allineato. È un peccato: gli interpreti degli Oyes sono capaci e andrebbe dato merito maggiore alla perseveranza con cui questa compagnia propone progetti originali. Ciò nonostante, al di là della sincerità degli intenti, questa prova finisce per fare del proprio titolo una diagnosi, di disperata, quanto inattendibile, auto-indulgenza.

Corrado Rovida