Il destino scritto nel nome: “Alma” è “dare nutrimento, vita”. Alma Mahler, artista e Musa di artisti, non sfuggì al proprio fato (e neppure al suo contrario: togliere vita) come seppe bene Oskar Kokoschka, che amò questa donna carismatica, indipendente, dalla bellezza folgorante, con folle ossessione e tra molte contraddizioni (alcune nel dipinto La sposa del vento), e ne subì il dramma dell’abbandono. Ne ebbe dunque vita e, metaforicamente, morte. L’uomo consumò il tempo dell’addio senza la speranza di un reale ritorno, perché “nessuna vera Musa, una volta che è andata via, può mai tornare”, ma con l’idea della creazione della sua immagine. Fece infatti realizzare con cura maniacale una bambola, imitazione del corpo di Alma e vera e propria opera d’arte, portata ovunque e immortalata in quadri come La bambola raffigurata in un dipinto. Kokoschka fece rivivere Alma in modo surreale e la fece morire nella stessa maniera: dopo una festa, ridusse in pezzi il suo corpo di bambola e lo gettò in giardino, inscenando un delitto che, pur simbolico, in un primo momento e visto a distanza, fu creduto vero.
Lo sviluppo della vicenda amorosa di Alma e Kokoschka, unito alla drammatica storia della pièce di Cocteau La voce umana è stato messo un scena con originalità dalle Nina’s Drag Queen.
“Il sipario si alza su una camera da delitto. Davanti al letto, per terra, una donna in vestaglia è stesa come se fosse stata assassinata. Silenzio. La donna si solleva … Mentre sta per aprire la porta il telefono suona… Stacca il ricevitore… parlerà in piedi, seduta, di spalle… o dietro lo schienale della poltrona, con la testa appoggiata sulla spalliera, camminerà su e giù per la camera trascinando il filo, fino a che cadrà bocconi sul letto. Allora la sua testa rimarrà penzoloni e il ricevitore le cadrà dalle mani come una pietra… L’autore vorrebbe che l’attrice desse l’impressione di sanguinare, di perdere il sangue come una bestia ferita, di terminare l’atto in una camera piena di sangue”.
Queste parole, tratte dalle note di regia scritte da Jean Cocteau, sono state interpretate nella loro dimensione metateatrale dalla voce ‘sola’ di Lorenzo Piccolo: come la Magnani o la Proclemer – tra le migliori interpreti de La voce umana – Piccolo ha subìto il fascino della voce dell’anonima elle di Cocteau, “mediocre” vittima della lacerazione di un amore che rende insani e, come Kokoschka, è caduto nella rete della Musa Alma. Ha avuto così l’idea di avvicinare due poli opposti del femminile e dell’amare. Guidato da una regia sempre consapevole (Alessio Calciolari con Ulisse Romanò) e sostenuto da una incisiva drammaturgia (ad opera dello stesso Piccolo), ha concretizzato teatralmente la sua intuizione attraverso accostamenti di frammenti, per analogia o per contrasto, di discorsi amorosi, di immagini, volti, corpi, musiche, voci. Si è mosso con talento e formidabile mestiere d’attore fra i crudi e disperati ossimori dell’amore dato e tolto e ne ha svelato gli echi intimi: anzitutto quelli della mancanza, che avvicinano a sorpresa i mondi delle due donne. Piccolo ha trovato i giusti passaggi dalla voce di elle al difficile silenzio carico delle parole del suo uomo – che mai arrivano al pubblico poiché sono all’altro capo del telefono –; è riuscito a mediare tra le parole metateatrali e l’assenza di voce umana del grottesco doppio di Alma (prima perfettamente descritto, poi interpretato).
Con questo spettacolo Lorenzo Piccolo inaugura un nuovo e promettente percorso delle Nina’s Drag Queens. Attraverso la sospensione della consueta coralità – in scena è sempre solo –, e attraverso la ricerca di nuove strade dell’estetica del gruppo, Piccolo si presenta in scena come “un essere umano … molto evidentemente di sesso maschile, ma di genere femminile, anche quando non indossa nulla che lo possa connotare in questo senso”(così sul sito del gruppo), indossando maschere che diventano tutte convincente strumento per interpretare donne protagoniste di amori al limite. Nello spettacolo non vengono abbandonati, ma rimodulati, alcuni consolidati e vincenti modi espressivi delle Nina’s, su tutti il playback (si pensi a Dragpennyopera), mezzo molto efficace soprattutto nella telefonata che attraversa l’intera pièce di Cocteau, ricomposta in un ibrido e riuscito mix tra la versione lirica musicata da Francis Poulenc, quella recitata da Anna Proclemer (RAI 1978), e la libera recitazione di Piccolo. In scena rimangono presenti anche delle icone del gruppo, come Moira Orfei: la sua foto, sulla parete levigata della borghese stanza del delitto, funge da ironico “ritratto di famiglia”, dove l’esagerata acconciatura dell’artista circense anticipa le parrucche indossate da Piccolo nell’interpretare elle e la bambola Alma, ma è anche eco di mondi, il circo e il varietà, amati dalle Nina’s e anche da Kokoschka.
Un particolare apprezzamento va rivolto all’efficace uso delle luci (Andrea Violato), da quella “cruda” da delitto, richiesta da Cocteau, alla penombra della bella scena finale, che accompagna il corpo di un attore che si fa sintesi della rappresentazione di due donne, di ciò che è dentro e intorno a loro: le attese, i silenzi, le solitudini, l’assurdo d’amore. Due donne che non ci sono più: la voce umana è rotolata a terra con il ricevitore e la bambola è spezzata nella terra di un giardino. L’attore con in testa la parrucca di elle, seduto, rivolge al pubblico la schiena, lasciata scoperta a metà dall’abito rosa di Alma, la muove impercettibilmente e la ferma. Al pubblico resta da immaginare lo sguardo, risucchiato dall’immateriale ombra nera proiettata sulla parete bianca: quella che era fin dall’inizio la stanza di una fine è ora vuoto d’amore per un corpo ‘solo’.
Raffaella Viccei
Vedi alla voce Alma
di Nina’s Drag Queens
drammaturgia e interpretazione Lorenzo Piccolo
regia Alessio Calciolari
aiuto regia Ulisse Romanò
Produzione Aparte-Ali per l’arte
Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano_ 19-23 giugno 2017