Chi è il pubblico del teatro, oggi? Quanti anni ha, quali sono le sue origini, quanto è competente? Perché sceglie di andare a vedere uno spettacolo piuttosto che un altro? E soprattutto c’è qualcuno che l’ha istruito, che l’ha educato alla visione e alla critica di una messa in scena? In un momento caotico e poco rincuorante come questo che stiamo vivendo, c’è il rischio che l’andare a teatro si riduca a un momento di svago, di “spegnimento delle facoltà cerebrali” e poco più. Un po’ come stare davanti alla tv in una sera d’estate quando puoi guardare solo i Caroselli della Rai o la decima replica di un telefilm americano. Viviamo in una realtà acritica di per sé, che tende alla semplificazione e che aborre la complessità. Eppure di un pensiero analitico e profondo, che sappia spiegare la ragione delle cose, trovare soluzioni, che lanci nuovi sguardi su persone, idee e situazioni, abbiamo davvero bisogno. E il pensiero teatrale e critico può rivelarsi molto utile per fornire strumenti e chiavi di interpretazioni.

Ecco perché c’è sempre più bisogno che il pubblico del teatro sia un pubblico educato. Critico, appunto. Partendo da questa riflessione, abbiamo pensato a una ricognizione delle più significative esperienze di formazione del pubblico, proprio grazie all’esercizio critico, emerse in Italia negli ultimi anni. Il quadro è composito e ricco. Tre i nodi fondamentali, secondo noi.

La prima: tutti (o quasi tutti) quelli che oggi si occupano di critica in maniera incisiva e militante si occupano anche di formazione. “Spettatore attivo, agitatore culturale, interlocutore non condiscendente”, così Andrea Porcheddu definisce il critico di oggi. Il secondo elemento è che questi percorsi si svolgono ai livelli e nei modi più diversi. Se Massimo Marino e Andrea Porcheddu, veterani dei laboratori di critica, hanno dato vita a fucine d’eccellenza per addetti ai lavori (il primo con il giornale del Festival di Santarcangelo, il secondo con l’esperienza dell’Ottavo Peccato, master di critica per la Biennale di Venezia), c’è anche chi lavora con semplici spettatori. E via di questo passo. C’è poi un terzo elemento che ci piace rilevare. In un paese per vecchi, dove chi è arrivato non ama lasciare il posto a chi arriva dopo di lui con pari meriti, dove insegnare e passare saperi sembra essere sinonimo di sforzo o di rinuncia più che un dovere, un proficuo scambio generazionale sembra un’utopia. Eppure, in questa ricognizione da noi effettuata, il passaggio di consegne c’è eccome. Altre Velocità è nata da un gruppo di lavoro impostato da Massimo Marino, il Tamburo di Kattrin da un laboratorio di Andrea Porcheddu.

Una strada ben avviata e piena di incroci, dunque, che fa ben sperare per quello che sarà il pubblico di domani. Intanto, anche Stratagemmi, da settembre, inizierà un percorso per coinvolgere, avvicinare e appassionare al teatro e alla sua fruizione critica nuove e sempre più vaste aree di pubblico. In un progetto presentato a Fondazione Cariplo, abbiamo pensato di mettere in pratica quanto fin qui abbiamo espresso in teoria, immaginando un percorso critico-formativo nelle scuole superiori: un luogo dove, a nostro avviso, si gioca una partita importante per il pubblico di domani.