Testi classici e teatro contemporaneo. Ha ancora senso accostare questi due termini? Che significato ha, oggigiorno, mettere in scena Euripide, Sofocle, Eschilo, Aristofane? E che rapporto c’è tra l’originale e gli spettatori moderni? Come deve comportarsi il traduttore prima e il regista poi quando ha a che fare con i testi classici? Su questa e altre tematiche riflette la giornata di studi organizzata dall’Università Statale di Milano e dall’Istituto lombardo, tenutasi il 5 dicembre 2011, dedicata a due personalità che al teatro greco hanno dedicato una vita di studi: Umberto Albini e Dario Del Corno e di cui Stratagemmi riporta gli atti. Non a caso uno degli interventi è intitolato Due accademici in sala prove, a segnalare come Albini e Del Corno siano stati antesignani di una pratica destinata ad avere molta fortuna, e non solo nel teatro antico: quella di una traduzione che non sia mera operazione linguistica e filologica, ma presenza sul campo, disponibilità a comprendere le pratiche del teatro contemporaneo, dialogo con il regista.
Che non si tratti di una riflessione soltanto accademica, lo testimonia anche la presenza nel dibattito di due personalità di teatro: Andrèe Ruth Shammah e Franco Branciaroli. E se la prima riflette sul fatto che è proprio la conoscenza più vasta a dare la più vasta libertà in teatro, il secondo insiste sulla necessità di un’idea interpretativa forte alla base della messinscena: “La tragedia greca ha bisogno di una regia grandiosa. Ma se non manca gli appuntamenti, è il teatro più potente che ci sia”.