La sesta edizione di Metamorfosi Festival (28 febbraio – 8 marzo, Brescia) si dissemina sempre più nel tessuto urbano della città. Utilizzando linguaggi espressivi ed ispirazioni provenienti da mondi “altri”, in luoghi non esclusivamente deputati al teatro, ci ricorda che facciamo parte tutti di uno stesso ecosistema. Un fil vert  più che rouge quello che caratterizza questa edizione 2020, nata da un lavoro di co-progettazione tra cittadini, utenti dei servizi psichiatrici territoriali, operatori e artisti. A guidare il festival – parte integrante del progetto Recovery.net – laboratori per una psichiatria di comunità – sono infatti gli “organismi pionieri”, quelle piante raccontate da Stefano Mancuso, membro fondatore dell’International Society for Plant Signaling & Behavior. La convinzione è che la salute (mentale, individuale, comunitaria) passi dalla collaborazione e dalla ricerca del nutrimento creativo, possibile solo cambiando punto di vista, esplorando e condividendo spazi e linguaggi nuovi. L’uomo infatti, proprio come le piante, si sposta quando le condizioni ambientali in cui vive non sono favorevoli alla crescita, allo sviluppo, alla sopravvivenza. Quando non vi è più equilibrio. Coadiuvare la creazione di un ecosistema atto all’umano è il tentativo di Metamorfosi che, guidato dall’Associazione Teatro19, capofila della manifestazione, conferma la propria vocazione a un teatro d’arte sociale, capace di diffondersi e modificare il territorio, come un seme portato dal vento.

Abbiamo incontrato Valeria Battaini, Francesca Mainetti e Roberta Moneta, fondatrici di Teatro19, per farci raccontare le novità di quest’anno.

Valeria Battaini

L’ispirazione per la VI edizione di Metamorfosi nasce dai comportamenti delle piante, metafora che racconta l’ecosistema umano, la necessità di un cambio di sguardo e il desiderio di disseminazione di buone pratiche artistiche ma non solo…
Valeria Battaini: Sì, esattamente. Alla fine della stagione 2018/2019 stavamo lavorando con la Compagnia Laboratorio Metamorfosi/Teatro19 sulle possibili tematiche da trattare per questa nuova edizione ed è nato l’interesse per i testi di Stefano Mancuso. Siamo quindi partiti da una suggestione comune: i semi che si diffondono grazie al vento. Alcuni germogliano e così modificano un ecosistema. Il nostro desiderio è sempre stato quello di poter modificare il territorio, di avere un impatto sullo stesso attraverso un’azione culturale eterogenea, ma condivisa. Abbiamo così deciso di rinunciare ai “nomi di richiamo” in favore di un lavoro che potesse essere più efficace “nel particolare”, coinvolgendo “attori territoriali” diversi. L’idea nasce ovviamente da altre esperienze: penso a quella che portiamo avanti dal 2011 con Barfly – teatro fuori luogo da cui abbiamo ripreso una diffusione teatrale capillare e non convenzionale. Se con Barfly ci muoviamo nei bar, con Metamorfosi saremo invece in farmacie, supermercati, centri commerciali, librerie, hotel, oltre che nei teatri e per le vie del centro. Siamo infatti convinti che un contatto diretto con la comunità permetta di sviluppare azioni culturali condivise, ricche di senso per i nostri spettatori che, in primo luogo, sono cittadini. L’idea di lavorare con realtà non direttamente legate né al teatro né alla salute mentale ci sembrava infatti di per sé un gesto in grado di far germogliare qualche seme nel territorio. Quest’anno collaboriamo con Fondazione ASM, con il Centro Teatrale Bresciano, I.Dra, Mo.Ca, Fondazione Brescia Musei, Fondazione Brescia Solidale Onlus, Latteria Molloy e Casa Molloy con i quali cerchiamo di creare un ecosistema culturale comune.

Questa commistione tra partner istituzionali e piccole realtà è una vocazione già presente nella rete di Recovery.net: come sviluppate questo processo con Metamorfosi?
Francesca Mainetti: Questa idea di coinvolgere più partner e quindi più pubblici, età, linguaggi e spazi possibili è collegata alla disseminazione che vediamo nel mondo vegetale. Da associazione cerchiamo di creare connessioni con realtà che spesso sono percepite come mondi chiusi, come la salute mentale e il teatro, soprattutto quello contemporaneo. Il nostro è un tentativo di promozione della collaborazione e della bellezza, riferite sia alla salute umana che all’arte e al teatro, nella consapevolezza che nulla è indipendente. In effetti è un tipo di lavoro che portiamo avanti anche con Recovery.net, progetto dedicato a una psichiatria di comunità, ed è proprio da quella comunità che siamo partiti per creare la rete della sesta edizione di Metamorfosi. Il primo passo è stato collegare tutti gli eterogenei attori e i partner di questa grande compagine che forma Recovery.net attraverso un percorso di co-progettazione di 4 incontri, a ciascuno dei quali hanno partecipato una trentina di cittadini. Discutendo abbiamo concluso che il modo migliore per cambiare punto di vista, aprirsi alla comunità, ascoltarla, fosse realizzare collegamenti il più possibile liberi da ogni categorizzazione. Anche la scrittura dello studio che presenteremo martedì 3 marzo “Conferenza fantascientifica del Professor Miscuso” – evento realizzato con la Compagnia Laboratorio Metamorfosi, Teatro19 e l’UOP23 – nasce dall’idea che la città sia un ecosistema in cui convivono esseri differenti che dipendono gli uni dagli altri. Studiando Mancuso, che parla di mutuo appoggio nel mondo vegetale, ci si rende conto come la legge del più forte non sia la chiave di lettura nemmeno per il mondo naturale: come la capacità di cooperazione permette alle piante di sopravvivere e prosperare così lo permette all’uomo. Vogliamo quindi salvaguardare la biodiversità, le differenze dell’ecosistema e in questo modo co-evolverci. Nel festival vi saranno allora danza, teatro di prosa, letture, incontri, passeggiate botaniche e anche, per la prima volta, uno spettacolo di teatro per l’infanzia (L’angolino più buio del buio di Roberta Moneta e Tommaso Laffranchi).

Una scena de L’angolino più buio del buio

Una nuova metamorfosi per Metamorfosi?
Roberta Moneta: Era già da tempo che con Valeria e Francesca pensavamo di inserire il teatro per l’infanzia in Metamorfosi. Per noi significa interessare un tipo diverso di pubblico a un festival che parla di salute mentale, e con cui puntiamo a rivolgerci a tutti. Con Metamorfosi non poniamo l’accento sulla malattia, ma sul benessere dell’individuo e questo tema riguarda sia adulti che bambini. Lo spettacolo stesso ha una particolare importanza perché nasce da una storia che raccontavo a mio figlio: parla della paura del buio, dell’ignoto, di quello che non c’è, della solitudine, tematiche fondamentali per la crescita di un bambino sano.

Tra l’altro lo spettacolo andrà in scena al Teatro Sociale di Brescia che ospiterà per un’intera giornata il festival con quattro appuntamenti molto diversi tra loro in un’ottica di commistione dei linguaggi e di apertura a nuove esperienze. Come abiterete questo spazio?
V.B.: L’ottica è quella di cambiare sguardo, quindi anche nel “più istituzionale” Teatro Sociale utilizzeremo spazi diversi per permettere di sperimentare questo luogo da altre prospettive. La mattina del primo marzo saremo nel foyer per un workshop di training attoriale che abbiamo chiamato “Del fiorire”, a cura di Francesca e degli attori della Compagnia Metamorfosi/Teatro19. Il pomeriggio andranno invece in scena sul palco, L’angolino più buio del buio mentre, in galleria, l’esperienza Biblioteca vivente della Compagnia La Rondine, con Fabio Resciniti e Annamaria Bonito. La serata sarà dedicata poi a Il cerchio del suono con il “vocal-pop” del Libero Coro Bonamici che canterà a cappella in platea. Il punto focale è quindi la possibilità di cambiare il proprio sguardo, un concetto ripreso, in un certo senso, da ciò che dice Stefano Mancuso quando racconta della plant blindness: a volte diamo per scontate alcune cose, ma se sappiamo spostare il nostro sguardo riusciamo a vederne la bellezza, l’armonia.

Stefano Mancuso

La diffusione del festival in luoghi non prettamente teatrali sottolinea ancora una volta la vocazione di Metamorfosi per un teatro popolare. In quest’ottica avete programmato perfino una parata cittadina per sabato 29 febbraio, come ci avete lavorato?
R.M.: L’idea della parata nasce da una riflessione sul tempo della natura e dalla sua profonda diversità rispetto al tempo dell’uomo. È stato soprattutto l’incontro con la poetessa bresciana Maria Zanolli che mi ha permesso di creare la drammaturgia, composta quasi esclusivamente da poesie. Con la parata vorremmo raccontare le quattro stagioni, che sono sia naturali che umane e che sempre parlano di rinascita e metamorfosi. Nel farlo abbiamo cercato, come sempre, di coinvolgere il maggior numero di “teste” possibili; e così saranno presenti diversi artisti: Marina Rossi della compagnia Lelastiko, Roberto Capaldo di Residenza Idra, gli allievi dei laboratori teatrali di Teatro19, La Compagnia dei ragazzi di Teatro19, la Compagnia Fuoribinario del Cps di Rovato, gli allievi del Teatro Intermedio di I.Dra, danzatori e attori del Laboratorio GiovaniAnziani|over 75, la Banda Giovanile Associazione Filarmonica “Isidoro Capitanio” e Davide Bonetti. Grazie al laboratorio del 22 febbraio di costruzione delle scenografie tenuto da Davide Sforzini coinvolgeremo nella creazione degli oggetti scenici anche la cittadinanza.

Cosa vorreste lasciare agli spettatori di Metamorfosi con questa VI edizione?
F.M.: Quest’anno abbiamo cercato di dare a Metamorfosi una forma pienamente festivaliera. Proponiamo giornate piene da mattina a sera, repliche di spettacoli ed eventi di vario genere; cercheremo poi di coinvolgere pubblico anche inconsapevole, ad esempio con la parata cittadina e le letture teatrali in farmacia (“Alessandro Quattro legge i foglietti illustrativi”, sabato 7 marzo), tutto a prezzi estremamente popolari per consentire al maggior numero di persone possibile di trascorrere del tempo con noi. Abbiamo anche organizzato alcuni appuntamenti gratuiti, come “Paure fantastiche e dove trovarle” – storytelling in seconda serata durante il quale quattro ospiti misteriosi racconteranno un episodio spaventoso della propria vita, o il “Percorso Botanico” in collaborazione con il Museo di Scienze Naturali di Brescia. Vogliamo coinvolgere le persone – siano esse utenti o meno dei servizi psichiatrici – e lavorare con loro per costruire bellezza condivisa: siamo convinti che “sperimentando” insieme la città si possa effettuare un radicale cambio di prospettiva. Il nostro obiettivo non è infatti semplicemente la promozione del benessere psicologico, ma anche il desiderio di darsi tempo e creare una piccola comunità di sconosciuti in movimento: gli incontri nei bar, gli spettacoli in luoghi inaspettati sono piccoli semi che vogliono essere un invito a farsi pubblico partecipante, cittadini per godere della bellezza dell’arte anche dove meno ce lo si aspetta.

A cura di Camilla Fava