di Rebecca Kricheldorf
regia di Roberto Rustioni
visto al Franco Parenti di Milano _8-24 marzo 2016

Cosa scopriremmo di noi e dei nostri cari se potessimo accostare in un montaggio sincopato il giorno del nostro compleanno di tre anni consecutivi? Ci troveremmo diversi o sempre uguali? E le persone che ci stanno accanto, sono sempre le stesse?
Questa l’idea drammaturgica alla base di Villa Dolorosa: a firmare la piece è Rebecca Kricheldorf, quarantenne berlinese selezionata da Fabulamundi. Playwriting Europe progetto che si occupa di identificare giovani talenti della scrittura e a favorirne la circuitazione. L’idea viene articolata in stretto rapporto con un modello ingombrante e dichiarato, Le tre sorelle di Anton Checov: dell’ipotesto la Kricheldorf riprende la simmetrica struttura in atti che ritraggono gli stessi personaggi a distanza di tempo, l’identità delle tre protagoniste e i loro mestieri, e un certo gusto per le buffe incoerenze dell’essere umano. Ma si tratta di un rapporto col classico sviluppato con libertà e ironia, ed ecco che i nomi impegnativi delle tre sorelle (Mascha, Irina e Olga) si scoprono essere la complessa eredità di genitori intellettuali amanti di Checov. Ma non si tratta di un mero esercizio di attualizzazione: il carattere contemporaneo del testo si misura in (rare) allusioni ai tempi più recenti, ma soprattutto nei ritmi vorticosi delle battute, nelle devianze da lettino di psicanalisi e in un gusto per il surreale spiazzamento di senso.

Roberto Rustioni si accosta a quest’opera ibrida con un pedigree quanto mai adeguato: da un lato il lavoro di scavo operato sui Tre atti unici, che restituiva i toni più leggeri e ironici della scrittura checoviana; dall’altro una riuscita esplorazione delle specificità della drammaturgia contemporanea con Lucido di Rafael Spregelburd. La regia qui ha lavorato su sintesi e alleggerimento, facendo risaltare l’irresistibile nichilismo dei personaggi, la disperazione stralunata, il tagliente autolesionismo, ma soprattutto la capacità di ridere delle dissonanze della realtà (“Io volevo sempre andare al mare e adesso sono il capo di una ditta di imballaggi. Non ho idea di come sia potuto succedere”). E ci si rende conto di cosa Rustioni abbia amato del testo soprattutto quando a condurre il gioco sono lui (qui Georg, innamorato di Mascha ma impatanato in un matrimonio infelice) e la bravissima Federica Santoro (la perennemente insoddisfatta Olga, insegnante in una scuola di provincia): la coppia di attori  – già splendidamente rodata in Diario del tempo di Lucia Calamaro – non sbaglia un tempo, e pare conferire a tutto il dialogo una grazia sospesa.

I tre compleanni falliti ci parlano apertis verbis della vita, e delle sue goffe incongruenze: i personaggi non possono fare a meno di ferirsi a vicenda e di rendersi infelici, ma mantengono la capacità di osservarsi alla giusta distanza. Ed è questo, dunque, il nodo: l’esistenza umana è “niente” (con questa parola, significativamente, si chiude Villa Dolorosa) ma sta a noi guardare alle storture con divertita ironia, accoglierle con leggerezza, trovare un equilibrio possibile per la sopravvivenza. La forma scelta per lo spettacolo – una commedia cinica e amara, nello stile della migliore sceneggiatura americana – giunge allora a coincidere perfettamente con il contenuto.
E se non mancano lungaggini, ridondanze e una selva fin troppo densa di citazioni colte, va riconosciuta alla Kricheldorf la capacità di confrontarsi con il classico senza farsene schiacciare; non è cosa da poco, per un’autrice che sta mettendo alla prova proprio ora la sua identità autoriale. Rustioni, dalla sua, si conferma ottimo direttore d’attori, attento lettore di testi, e fine esploratore delle forme più sottili del comico: il riso, ci viene ricordato, è innanzitutto esplorazione delle contraddizioni umane.

Maddalena Giovannelli