Una nota di fondo percorre le performance della rassegna “It’s a little bit messy”. Nel sistema relazionale che si instaura tra i personaggi degli spettacoli emerge puntualmente un agire violento, a tratti più esplicito e irruente – come si può riconoscere già dal primo impatto con Salvaje di Daniel Abreu –, a tratti invece più nascosto, tanto da insinuarsi in maniera sottile anche in un amore autentico come quello che vediamo in iLove. A partire dall’impatto con gli altri performer, la violenza si estende al rapporto con gli oggetti scenici stessi, che produce una forza generativa a livello anche sonoro (è il caso di bicchieri e posate in Eutropia, della pentola in Bastarda). La violenza sembrerebbe essere connaturata alla compagnia Fattoria Vittadini già da tempo: lo testimonia un’intervista del 2011 a cura di E20WebTv (consultabile sulla piattaforma Youtube), che riprende la compagnia durante le prove generali dello spettacolo My True Self. Nell’intervista, Francesca Penzo parla della violenza come “elemento dominante” che avrebbe caratterizzato tutto il periodo dell’improvvisazione, connettendo questa dinamica relazionale a una tendenza del mondo contemporaneo. In risposta alla collega, Noemi Bresciani aggiunge però una nota positiva. La violenza può esistere proprio grazie alla profonda conoscenza di ogni singolo elemento del gruppo, ed è segno quindi di intimità e libertà: “L’aggredire l’altro è una libertà che ci prendiamo anche perché sappiamo fino a che punto arrivare.”. Nei corpi dei performer allora la violenza erompe come un’emozione pungente e contrastiva, eppure acutamente controllata e modellata al punto da essere coreografata e direzionata. My True Self.revisited restituisce in una performance collettiva una violenza simile a quella che emerge anche in uno spettacolo a solo come Fragile: non nascondo però che, da questo punto di vista, è nelle coreografie che prevedono tre o più danzatori in scena che si attua la possibilità di riscoprire la ricchezza di un’emozione apparentemente soltanto negativa. Assoli o spettacoli in coppia talvolta trasmettono una violenza fine a se stessa, e ne esauriscono presto la potenza generativa e comunicativa che Fattoria Vittadini riscopre pienamente nelle coreografie collettive (un caso eclatante è O O O O O O O (IT) di Giulio D’Anna).
Oltre a essere una proposta che emerge nelle produzioni interne, la violenza finisce per essere una sfumatura adottata anche da alcuni dei coreografi esterni che collaborano con la compagnia (primo fra tutti, il già citato Daniel Abreu). Individuale e collettiva, connaturata e donata da altri: la violenza si declina in svariate forme per gli undici membri della compagnia, ed entra a far parte del loro sistema relazionale e del movimento stesso apportando, paradossalmente, un potenziale generativo anziché distruttivo.

Veronica Polverelli