Analizzare un processo compositivo per renderlo evidente nelle sue parti; variare le gerarchie tra gli elementi per misurare, nella composizione coreografica, chiarezza e complessità; mantenere la relazione e l’equilibrio tra il rigore delle regole e la libertà dell’improvvisazione. Questi sono i criteri sui quali gruppo nanou ha lavorato negli ultimi anni, negli esperimenti di quel laboratorio di ricerca continuo che è “Alphabet”: un progetto pluriennale che esplora attraverso workshop, prove e restituzioni il lessico del linguaggio coreografico della compagnia.
Con We want Miles, in a silent way, Nanou sembra applicare alla forma compiuta di uno spettacolo questo metodo di indagine: mettendolo al servizio di un tema di riferimento ma anche della complessità degli elementi di messa in scena. Il nome di questo lavoro, debuttato a La MaMa di New York lo scorso aprile per poi arrivare a Ravenna Festival e ora a Milano per Danae Festival, mette insieme i titoli di due album di Miles Davis, rispettivamente We want Miles del 1982 e In a silent way del 1969. E questa unione è già, sintatticamente, una dichiarazione d’intenti nella ricerca di un’essenzialità del metodo, “visibile” anche nel silenzio. Sarebbe riduttivo affermare che l’oggetto di analisi dello spettacolo sia Davis: la musica del jazzista americano sembra essere più un piano di confronto dal punto di vista della composizione, un’occasione di ricerca nell’applicare la sua struttura a quella della composizione coreografica del gruppo. Il crinale tra partitura e humus “improvvisativo” proprio del jazz emerge allora come punto di partenza e di arrivo: alla valorizzazione delle identità dei danzatori si aggiunge così la complessità della ricerca sullo spazio, sul colore, sul suono e sul movimento con gerarchie che, variando, generano diversi equilibri nello sviluppo del lavoro.
Nel dispositivo scenico ideato da Marco Valerio Amico e dal cromatologo Daniele Torcellini, spazio e colore sono indissolubilmente legati: We want Miles è da questo punto di vista una tappa di una collaborazione che ha visto diverse fasi e momenti di ricerca, tanto nella declinazione di Alphabet intitolata “Il colore si fa spazio” (che Vittorio Fiore ha documentato sulle pagine di Stratagemmi qui) quanto nell’installazione Neverwhere. Anche Miles porta i dispositivi di ricerca sul colore di Torcellini nel sistema coreografico, entrando in relazione con una mappa che sembra definire geometrie e direzionalità: a terra due strisce di moquette colorata si incrociano definendo delle aree, mentre un piano sospeso definisce la direzionalità verticale, pronta ad espandersi in infinite linee di movimento.
È una ricerca che, dal punto di vista spaziale, rimanda alle esplorazioni sull’esplosione neoplastica del cubo avviata dalle avanguardie di inizio Novecento: gli studi assonometrici del movimento de Stijl – costruzioni ipotetiche composte da piani bidimensionali proiettati nello spazio in modo asimmetrico – sembrano rivivere qui con una consistenza spaziale e percettiva impeccabile. Ma vengono alla mente naturalmente anche gli studi sul colore e gli “omaggi al quadrato” di Joseph Albers, gli “oggetti specifici” di Donald Judd capaci di definire lo spazio attraverso forme geometriche semplici, le linee e le superfici disegnate da Sol Le Witt, o ancora la sostanza spaziale data a luci e colori dall’artista statunitense James Turrell.
Il contesto “minimalista” di questi riferimenti entra in dialogo con il metodo compositivo di Nanou, ricordandoci come i segni evidenti mettano in moto riflessioni e stratificazioni di complessità. Il sovrapporsi delle informazioni, in We want Miles, vive dell’equilibrio tra le necessità coreografiche (guidate da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci), la costruzione – sopra citata – dello spazio attraverso il colore e la ricerca musicale, nel suono di Roberto Rettura e nelle percussioni dal vivo di Bruno Dorella. Le autorialità delle diverse “parti” sembrano incontrarsi senza che nessun elemento sia dominato da un altro. Con il cambiare delle luci e dei colori si altera la percezione dello spazio, e di conseguenza il modo di abitarlo da parte dei danzatori, nel dialogo con le percussioni. I corpi di Carolina Amoretti, Marina Bertoni, Rhuena Bracci e Marco Maretti alternano attraversamenti e coreografie che entrano in relazione con lo schema compositivo delle moquette a terra e prendono corpo in camminate circolari, attraversamenti diagonali, movimenti centrifughi e attrazioni verso il centro della scena, nel dialogo con luci e colori che amplificano e restringono lo spazio, generando profondità diverse che fanno emergere le figure.
L’indagine tra figura umana, spazio e movimento, la relazione tra linee, superfici e volumi, il rapporto tra forma e colore, sembrano dare consistenza spaziale al saggio di Oskar Schlemmer Uomo e figura artistica (1925): “le leggi dello spazio tridimensionale sono date dall’invisibile rete di linee delle relazioni planimetriche e stereometriche”. La dimensione cinetica del movimento è modificata anche dalla relazione con lo sguardo: non solo quello di un uomo in scena, che evoca la presenza/assenza di Davis, ma anche quello degli spettatori. Sollecitati dalle mutazioni determinate dal colore, interroghiamo la nostra vista (cosa ha consistenza fisica e cosa è determinato dalla nostra percezione?), e il movimento dei corpi diventa parte di un flusso continuo. E in questa stratificazione di livelli riconosciamo l’autonomia di ogni elemento, e la sua moltiplicazione.
Francesca Serrazanetti
[ph: Michela Di Savino]
We want Miles, in a silent way
progetto: Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci, Marco Maretti
coreografie: Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
dispositivo scenico e colori: Marco Valerio Amico, Daniele Torcellini
luci: Fabio Sajiz, Marco Valerio Amico
suono: Roberto Rettura
percussioni dal vivo: Bruno Dorella
con: Carolina Amoretti, Marina Bertoni, Rhuena Bracci, Marco Maretti
produzione: Ravenna Festival, Nanou Ass. Cult.
con il sostegno di: La MaMa Umbria International, Città di Ebla/Ipercorpo, E Production, Ravenna Ballet Studio
con il contributo di: MIBAC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravennaproduzione: Ravenna Festival, Nanou Ass. Cult.
Visto al Teatro OutOff nell’ambito di Danae Festival_3 novembre 2019 Milano