Giselle
LAURA BOATO

Cosa accade a un classico nelle mani di uomini che vivono oggi? Questo è l’interrogativo che accomuna le coreografie della serata, ispirate ad alcuni grandi “intramontabili” del balletto: Ondine, Don Chisciotte, Giselle.  Ed è proprio quest’ultima ad aprire le danze.

Un raggio di luce calda e fioca si posa sui corpi di due giovani innamorati, illuminandoli appena: La coppia si muove a passi lentissimi sulla scena, senza perdere mai il contatto fisico. Ma questa calma non è mai rilassatezza, piuttosto una potente tensione amorosa, intensa e reciproca. E così forte è la corrispondenza tra i due che le parti si possono perfino invertire: lei si prende la maglia di lui, ed è così decretato il passaggio di ruolo.
Ma in questo clima di intensa unità, qualcosa si spezza. Ecco il tradimento, poi la solitudine e, insieme, la follia. Di lui, questa volta: spetta finalmente all’uomo impazzire! Improvvisamente sulla scena si accende un movimento cieco, vorticoso e spietato. La relazione è finita. Dimentichiamoci la luce opaca della prima scena, i lentissimi passi dei due danzatori. I toni della luce passano perentoriamente a un glaciale grigio-azzurro. L’interprete femminile scompare quasi alla vista, incollandosi alla parete di fondo. In primissimo piano lui dà libero sfogo alla pazzia e alla solitudine del personaggio, illuminato da una luce impietosa. Il gesto è sclerotizzato, ossessivo, a scatti. Le braccia lunghe e magre si staccano ripetutamente dal petto in un rapido slancio verso l’esterno; così le gambe, in una frenesia senza fine. Un gigantesco se stesso proiettato sullo sfondo amplifica la coreografia del danzatore. Il corpo e l’enorme ombra luminosa raggiungono una sincronia perfetta, ma a un certo punto le ombre iniziano a moltiplicarsi: la parete esplode in un caotico movimento di tanti profili che riproducono a canone e in direzioni diverse la sequenza che l’interprete ripropone instancabilmente. Estensione, rotazione, contrazione, reiterazione. Tutto si muove nell’ansia di liberazione dal dolore della disillusione, che troverà compimento solo nella morte.

Veronica Polverelli

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView