Una donna è in mezzo alla scena, intorno a lei tre grandi quadrati di legno vuoti che roteano su loro stessi. Tre cornici che sembrano ora specchi, ora meccanismi di un orologio. È la memoria di Virginia Woolf che si riflette nel personaggio di Clarissa Dalloway, la Signora che, mentre si reca a comprare alcune decorazioni floreali per la propria festa, torna indietro nel tempo e nella memoria.

Emanuela Montanari al centro e il corpo di ballo in Tuesday

Woolf Works nasce per un’occasione ben specifica. Nel 2015 Alessandra Ferri torna sul palco a 55 anni. La prima ballerina assoluta del Teatro alla Scala ed étoile interazionale, dopo una strepitosa carriera all’American Ballet Theatre di New York e un addio alle scene presso il Teatro Antico di Taormina nel 2007, ritorna a danzare una creazione carica di espressività e sentimento, matura di significati e di tecnica, realizzata da Wayne McGregor, coreografo stabile del Saldler’s Wells e del Royal Ballet di Londra. McGregor è un coreografo visionario, dalla formazione eclettica, nata nel physical theatre e approdata alla danza contemporanea. Il suo movimento nasce da un uso particolare del cosiddetto “centro”: dal cuore partono tutti gli impulsi agli arti periferici che fanno del movimento qualcosa di nuovo e ‘alieno’ all’immaginario comune.

Per il suo Woolf Works il coreografo si è ispirato a tre romanzi dell’autrice inglese creando altrettanti atti: dalla Signora Dalloway è nato l’atto 1 I Now, I Then in cui a prendere la scena è un continuo dialogo nel tempo, come un flusso di coscienza della narrativa modernista inglese che amalgama i piani temporali e autoriali della storia. Clarissa Dalloway, ora è personaggio di Virginia Woolf, ora è Virginia Woolf stessa, ora è Alessandra Ferri o Emanuela Montanari (a seconda del cast in scena), ora è ognuno degli spettatori.

E proprio su Emanuela Montanari vale la pena fare un discorso a parte. Solista del Teatro alla Scala di Milano, capace di ricoprire nel corso degli anni tutti (o quasi) i ruoli principali, accanto ad alcuni degli artisti più importanti del mondo (dal maître scaligero Massimo Murru a Sylvie Guillem, étoile internazionale che per il suo tour mondiale di addio alle scene ha voluto solo lei), Montanari si rivela ancora una volta danzatrice magnetica e ipnotica. Perfetta per i ruoli drammatici e introspettivi, ha maturato un lavoro interiore capace di trasmettere al pubblico ogni sfumatura emotiva; è nei suoi occhi e nei suoi gesti che lo spettatore si specchia e si immedesima per cogliere le sfumature del balletto di McGregor: Clarissa Dalloway / Virginia Woolf affronta sé stessa e si rivede nelle sue scelte, nei suoi rimorsi.

Antonino Sutera, Gaia Andreanò, Emanuela Montanari, Massimo Garon, Benedetta Montefiore in I Now, I Then

La musica estremamente evocativa e coinvolgente di Max Richter con i suoi accordi in minore stuzzica l’inconscio innescando la macchina della memoria. Dai ricordi riemergono Clarissa da giovane (un’energica e sentimentale Gaia Andreanò) che danza sicura e fragile con la stessa leggerezza di cui è fatta; Sally Seton, la francesina ribelle e libertina, che ha sempre attratto il cuore di Clarissa – o di Virginia Woolf.

Riemergono poi anche gli uomini di Clarissa: il marito Richard (Massimo Garon), la scelta sicura di una donna del primo Novecento inglese, e Peter, vera passione di Clarissa, interpretato con grande intensità da Antonino Sutera. Il danzatore si mostra interprete strepitoso, pieno di carattere e vitalità: il partner ideale per molte danzatrici, capace di guidare, sostenere e soprattutto arricchire la narrazione con tecnica e precisione.

Gioacchino Starace e Andrea Risso in I Now, I Then

Il secondo atto Becomings si ispira invece a Orlando, in cui il protagonista (cortigiano prediletto e ambasciatore dei Tudor), dopo diverse spedizioni e alcuni amori clandestini si sveglia donna e attraversa ancora una volta il tempo, viaggiando per circa quattro secoli dall’età di Elisabetta I fino agli anni venti del Novecento.

Nella lettura di Wayne McGregor questo è indubbiamente il romanzo più trasfigurato, più evocativo e più ‘McGregor’ degli altri e ‘paradossalmente’ anche l’atto più narrativo del balletto. I secoli e i generi si aggrovigliano in vortici di passi a due, corpi che si piegano, si flettono, si allungano e si attorcigliano creando con i muscoli e i tendini giochi di luci e ombre, chiaroscuri eleganti e ‘alieni’. Una condizione fluida che si riflette nell’uso del trucco e delle luci e dei costumi. Gli abiti, fortemente distinti per genere nell’età elisabettiana, sono qui indossati con estrema libertà; progressivamente gli artisti si spogliano fino a un minimalismo che imita la nudità. La nudità di un’anima tormentata che si muove con passi scomposti, posizioni fuori asse e senza equilibrio che rivelano quanto le nostre vite non siano realmente nostre, ma – per dirla con Solženicyn – “appartengono alla responsabilità dell’altro”.

Gioacchino Starace e María Celeste Losa in Becomings

Si termina con Tuesday, atto terzo che riprende le Onde, romanzo del soliloquio e dell’esplorazione della solitudine o delle solitudini dei sei protagonisti paralleli. Tuesday è il suicidio sulla scena. La danza di McGregor riprende il movimento che imita il bilico di fronte al vuoto cosmico e interiore con un relevé, il busto piegato in avanti e le braccia fluttuanti ai lati. Le onde eseguono una danza semplice, ripetuta, monotona che terrorizza e allo stesso tempo culla: un rond de jambe par terre con un port de bras en dehors chiuso con un fondu e il busto allungato in avanti. Montanari è al centro, diventa un’onda che danza tra le onde, ritrovando il primo amore, ancora una volta Nino Sutera.

Emanuela Montanari e Antonino Sutera in Tuesday

Entrambi danzano l’ultimo passo a due con grande energia e delicatezza, facendo trasparire al tempo stesso tutto il sentimento tragico della fine, urlato nel silenzio e nella serenità di una scelta irreversibile. Con loro il pubblico si sente immerso negli abissi del proprio inconscio, a cercare sé stesso, a immaginare quale sia il proprio orlo, nella speranza che un giorno non si trasformi in urlo.

Domenico Giuseppe Muscianisi


Woolf Works
regia e coreografia di Wayne McGregor
con il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Prima rappresentazione italiana al Teatro alla Scala di Milano_visto sabato 13 aprile 2019

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala