Un uomo travestito da coniglio invita gli spettatori a entrare in una stanza. Prima di accedere però ciascuno di loro dovrà indossare una tuta bianca e con essa esser dotato di un kit (pennarelli, maschera e torcia) e un foglio d’istruzioni. Il tutto in rigoroso silenzio, tanto che a vederla dall’esterno potrebbe sembrare la scena di un film muto. Invece, si tratta dell’inizio di XY – Esperimenti di Prossimità, spettacolo-esperimento della compagnia Manimotò. Il pubblico viene poi condotto davanti a due piccoli monitor: il primo mostra la lettera “X”, il secondo la lettera “Y”. Ogni partecipante è chiamato a scegliere uno dei due insiemi e a disporsi nello schieramento di riferimento sulla base di alcune domande recitate da una voce off. “Maschio o femmina?”, “prostituta o vittima?”, “amore o forza?”: interrogativi ambigui, spesso troppo astratti, che lasciano gli spettatori disorientati e indecisi su dove posizionarsi. Non finisce qui: la seconda parte dell’esperimento, interamente al buio, trasforma i partecipanti in “cavie”: l’invito è quello di dipingere gli altri spettatori con i pennarelli forniti nel kit (con il rischio di innescare situazioni poco controllabili), mentre i registi/attori li osservano attraverso una piccola telecamera, in una situazione molto simile a quella di un laboratorio scientifico.
XY – Esperimenti di Prossimità non può essere definita come una performance in senso proprio. Appare più come uno studio che, partendo dalle teorie del biologo e sessuologo Alfred Ch. Kinsey, sperimenta, traccia, seziona, indaga. Sfugge però quale particolare interesse rispetto all’indagine sull’identità sessuale muova la dinamica scenica. Verificare la possibilità di identificarsi secondo un genere altro? Misurare il grado di autocontrollo, in termini sessuali, delle persone? O piuttosto incentivare una modalità di relazionarsi all’altro a prescindere dal genere, in condizioni di annientamento della riconoscibilità? Una maggiore chiarezza nella formulazione delle domande e degli intenti che animano l’operazione potrebbe rivelare considerazioni utili e costruttive al momento poco manifeste. Rendere noti gli esiti delle diverse dinamiche interne potrebbe, ad esempio, essere il primo passo per trasformare un esperimento in una possibilità, andando cioè oltre la lente di un microscopio.
Di tutt’altro genere sono invece le domande rivolte agli spettatori in The Money, vero e proprio esperimento scenico ideato dalla compagnia britannica Kaleider, che interroga il pubblico sul senso dell’essere benefattori. Che cosa significa realmente ‘fare del bene’? Come si può trasformare una parola in un’azione concreta? Innanzitutto attraverso una libera scelta. Il pubblico, al momento dell’acquisto del biglietto, decide se diventare ‘benefattore’ partecipando attivamente alla dinamica spettacolare, o se restare testimone silente dell’intero accadimento scenico.
Due performer nelle vesti di inservienti, con tanto di traduzione simultanea, spiegano brevemente le regole del gioco: mentre i testimoni devono osservare in silenzio (potranno cambiare il proprio status e intervenire solo dopo aver versato una quota minima di 10 euro), i benefattori sono chiamati a decidere su come investire un fondo di denaro messo a loro disposizione (72 euro, nel caso specifico). Il tempo utile per siglare un contratto all’unanimità è di 60 minuti, cronometrati da un timer. Nessun mediatore: le performer, per tutta la durata dell’esperimento, restano sedute e osservano.
Fin da principio al tavolo dei partecipanti si scatenano dinamiche contrastanti: c’è chi propone un progetto per aiutare concretamente persone in difficoltà; chi, invece, dopo aver scelto inizialmente di essere testimone, assume il ruolo di benefattore per cercare di destinare il fondo comune a scopi individuali; chi infine vorrebbe aiutare i bambini più svantaggiati offrendo un biglietto teatrale ‘sospeso’. Ed è proprio quest’ultima proposta a prevalere. Ma molti dei benefattori, impegnati a promuovere e difendere strenuamente la propria idea, dimenticano la clausola fondante di tutto il contratto: il progetto deve essere sostenuto da tutti i partecipanti, non solo dalla maggioranza.
Come accade per Europa a Domicilio di Rimini Protokoll presentato a Pergine in prima nazionale – e di cui avevamo già parlato qui, in occasione del Festival Escenas do Cambio di Santiago di Compostela – anche in The Money è il gioco l’elemento chiave che scatena le azioni e le relazioni del pubblico. E, benché i molteplici significati che l’attività ludica assume quando viene inserita in un contesto teatrale meriterebbero uno studio più dettagliato, ci limiteremo qui ad osservare le differenti declinazioni scelte dalle due compagnie.
Nel caso di Europa a Domicilio i partecipanti riflettono, seduti attorno a un tavolo, sul significato di una reale o presunta identità europea. La dinamica ludica sfocia nei risultati delle votazioni che si susseguono durante il gioco e che vengono riportati in una pagina web, consultabile liberamente da ciascun “giocatore”. Il progetto artistico del gruppo tedesco offre un interessante spunto di riflessione su una tematica di enorme portata e di difficile risoluzione – basti pensare che tanto nella versione italiana, quanto in quella spagnola, il senso identitario europeo ha registrato valori notevolmente bassi – ma rimane un po’ chiuso in se stesso e nelle proprie dinamiche.
The Money, invece, stupisce per la sua capacità di andare oltre i meccanismi ludici. E questo avviene nonostante le relazioni interne al gruppo di benefattori – forse influenzati anche dal fatto di essere ripresi dalle telecamere di un noto canale televisivo – siano incentrate sull’apparire e nonostante le proposte vengano perciò prevalentemente intese come un gioco, piuttosto che come una possibilità concreta di azione. Se l’obiettivo comune non viene portato a termine, la somma di denaro passa al gruppo di benefattori della replica successiva. In altre parole, l’esperimento non si chiude mai veramente, innescando potenzialità esponenziali. Lo spettacolo ha infatti lo scopo di stimolare, all’interno di una dinamica ludico-partecipativa, un’azione concreta e collettiva che vada oltre la dimensione di gioco in cui viene inizialmente proposto. La partecipazione del pubblico, così, senza limitarsi ad essere espediente retorico, diviene un vero strumento d’indagine. Il risultato è tutt’altro che scontato.
Carmen Pedullà
XY Esperimenti di prossimità
di Manimotò
visto al Festival Pergine Spettacolo Aperto _ 6-9 luglio 2016
The Money
di Kaleider
visto al Festival Pergine Spettacolo Aperto _ 7-9 luglio 2016
Europa a domicilio
di Rimini Protokoll
visto al Festival Pergine Spettacolo Aperto _ 4-9 luglio 2016