Dove – Trento
Trento capoluogo ma ‘periferia’, città che nella sua conformazione geografica trova protezione e identità, ma che resta anche tagliata fuori – più o meno volontariamente – da ciò che agita i palcoscenici nel resto d’Italia. Una realtà teatralmente circondata dalla prosa dello Stabile di Bolzano a nord, e dal pluriennale e celeberrimo festival di danza Oriente Occidente di Rovereto 30 km più a sud. Trento non ancora in grado di capitalizzare del tutto le energie scaturite dai festival nati – quelli sì – dalla vera provincia di montagna: Pergine Spettacolo Aperto in Valsugana e Drodesera presso Centrale Fies, sulla strada della Valle dei Laghi. Distanze che nel paesaggio trentino, tutto tornanti e ponti, diventano incolmabili, rafforzando l’impressione di esperienze che si riferiscono alle comunità locali e che nel corso degli anni sono cresciute moltissimo, riuscendo a catalizzare un pubblico nazionale e internazionale, ma difficilmente di “Trento città”.
Ecco allora che la nascita di un festival di spettacolo dal vivo nel capoluogo è una bella novità, ma soprattutto una sfida interessante. Il Centro Culturale Santa Chiara – ente responsabile della programmazione prosa, danza, jazz, teatro ragazzi e unico vero polo culturale teatrale della città – si è inventato una formula, nel suo piccolo, rivoluzionaria: un festival di danza per ragazzi. Potrà forse destare stupore, ma Y Generation è la prima esperienza di questo tipo in Italia. Eppure l’idea è semplice: la danza è un linguaggio che può essere compreso da tutti fin dalla tenerissima età perché ,attraverso la fisicità, comunica in maniera diretta, riuscendo a conquistare perfino gli adolescenti, tradizionalmente restii al teatro “di parola” e attratti invece dall’immediatezza delle potenzialità espressive dell’universo coreutico.

Cosa – Il Festival
La seconda edizione di Y Generation è terminata qualche settimana fa: quattro giorni, dall’11 al 14 ottobre, riscaldati da un inaspettato sole autunnale e assai ricchi di appuntamenti di ogni tipo. Non solo spettacoli in sala, ma numerose incursioni urbane, spettacoli in spazi “interstiziali” della città e dei teatri, mostre e feste a ritmo di swing. La programmazione è stata preceduta da diverse settimane di appuntamenti ‘propedeutici’ alla fruizione” per adulti e bambini: dai laboratori per insegnanti alle classi di movimento nelle scuole, tutto si è mosso nella direzione di coinvolgere più partecipanti possibili oltre alla mera visione di spettacoli –che pure sono stati selezionati con una grande attenzione per la qualità artistica. Indiscutibile l’aspirazione prepotentemente internazionale: dei quattordici spettacoli in cartellone ben sette sono produzioni o coproduzioni estere, provenienti da Spagna, Francia, Germania, Olanda, Liechtenstein. Tra questi, due spiccano in maniera particolare per motivi diversi:Ali di Teatro la Ribalta – Accademia Arte della Diversità, ispirato all’omonimo spettacolo del 1993, e vincitore del premio Stregagatto 1995 e The Basement di Theater Strahl e De Dansers.

L’Accademia Arte della Diversità, diretta da Antonio Viganò, è la prima Compagnia teatrale professionale costituita da uomini e donne in situazione di handicap, regolarmente iscritti all’Ex Enpals e che ricevono salario per il loro lavoro di attori e danzatori. In scena, Michael Untertrifaller e Jason De Majo tessono in Ali la trama di una storia delicatissima, una parabola atemporale che racconta dell’incontro tra un uomo senza speranza e un angelo dalle ali spezzate. Lo spettacolo è un piccolo gioiello: la scenografia, le luci, gli interventi coreografici sono tutti concordi nel definire un mondo astratto, nel quale semplici elementi – i sassi disseminati per il palcoscenico, i gesti di “taglio” delle ali, lo sfondo verdazzurro – si caricano di significati simbolici rimanendo allo stesso tempo ancorati alla realtà materiale. Riflettere sulla disabilità degli interpreti risulta fuori luogo: quello in scena è teatro senza compromessi.

Di tutt’altro genere The Basement di Theater Strahl e De Dansers: quattro performer (Claire Lamothe, Enrico Paglialunga, Wannes De Porre, Josephine van Rheenen) e due musicisti (Guy Corneille e Daan Crone del gruppo La Corneille) invadono il palco con un’energia irrequieta. Si capisce subito perché venga consigliato a un pubblico di adolescenti: i movimenti tesi, la musica travolgente, il ritmo senza pause riescono a tenere il livello di attenzione molto alto per l’intera durata dello spettacolo. La corporeità è al centro di ogni dinamica scenica e diventa metafora di relazioni umane. Contatti, spinte, sfide, scontri, immobilità inspiegabili e repentine, ma anche vicinanze, supporti, stimoli all’azione. Quello che accade sul palcoscenico è la restituzione di un mondo che si fonda sul tentativo di costruirsi un’identità come singolo e come membro di un gruppo, come antagonista o sostenitore. L’adolescenza è rappresentata come un luogo di passaggio inquieto ma fecondo in cui gli equilibri, pur non trovando mai una forma compiuta, evolvono lentamente verso una forma di relazione. Uno spettacolo complesso ma che lascia anche negli adulti la sensazione di essere stati percorsi da una scarica elettrica.

Chi – Il pubblico
Se nelle incursioni urbane il pubblico non manca, in sala (almeno negli spettacoli visti in teatro: Ali di Teatro la Ribalta e Arte della Diversità, Bounce! di ARCOSM, Rent a movement di Elisa Cuppini – Teatro delle Briciole, The Basement di Theater Strahl e De Dansers) il pubblico giovane è davvero raro. Molti adulti, soprattutto operatori o professionisti interessati alla tematica “danza per bambini” –a dimostrazione che il valore degli spettacoli attira anche lo spettatore maggiorenne – ma i minorenni latitano paurosamente in un festival che, da programma, è stato costruito apposta per loro. Dispiace vederli scarseggiare anche in orari pomeridiani che dovrebbero incentivare la frequentazione di spettatori under. Il pensiero corre allora alle decine di giovani e giovanissimi che hanno partecipato ai laboratori nelle settimane precedenti l’inizio del festival: bambini della scuola dell’infanzia, delle elementari, moltissimi ragazzi del liceo coreutico, gli allievi delle scuole di danza del territorio che hanno collaborato attivamente alla realizzazione di alcuni momenti di spettacolo, dove si sono persi? È vero, come si diceva in uno degli incontri organizzati dal Festival chela danza, più di altre arti, si comprende davvero quando la si agisce in prima persona(come testimonia il grande successo dei laboratori “preparatori”), ma è evidente che la grande domanda rimane “come trasformare gli attori in spettatori?” Forse in questo l’organizzazione ha ancora margini di miglioramento: è indispensabile focalizzare l’attenzione sul passaggio dalle aule e dalle sale prove alle sale teatrali per dire veramente compiuta la funzione dei laboratori stessi!

Come – Gli incontri
“Uno dei meriti di questo festival è  un forte interesse per l’auto-riflessione, ovvero per l’indagine dei meccanismi di produzione e ricezione, analizzati attraverso molteplici occasioni di confronto fra artisti, operatori del settore e spettatori, affinché possano ripensare insieme modalità di creazione e promozione del prodotto artistico” scrive Anthea Grassano dalle pagine di KLP e non si potrebbe essere più d’accordo. Uno dei focus che ha attirato maggior attenzione sia da parte di operatori internazionali giunti a Trento per l’occasione, sia da professionisti locali nell’ambito della danza e della formazione è stata infatti la due giorni di confronto.  Si è iniziato venerdì 13 con quattro tavoli di discussione, ognuno intorno a un topic diverso: Orizzonti – sguardi sullo spettatore nuovo; In punta di pagina – Danza e letteratura per bambini e ragazzi; Danza e Danza – Le molte declinazioni del corpo; In between. Tra il fare e il vedere – confronto tra chi crea danza e chi vi assiste. Sabato 14 l’incontro si è fatto collettivo, con una tavola rotonda dal titolo Dancing World International Choreographic Meeting che ha permesso di conoscere le esperienze professionali di Stephan Rabl (DSCHUNGEL WIEN – Theaterhaus für junges Publikum), Gerhard Verfaillie (Cultuurcentrum Hasselt), Alessandro Pontremoli (Università di Torino) e Gilberto Santini (AMAT). Le modalità di dialogo sono state diversissime a seconda del clima dell’incontro, dell’età dei partecipanti, della volontà di trovare delle vere risposte o semplicemente di porsi delle domande insieme.

Nel corso delle discussioni, al di là della specificità di alcuni argomenti, i temi toccati si sono avviati verso una naturale e non programmata convergenza: cosa produrre, come farlo sia in termini artistici che economici, come entrare in relazione con il pubblico, come comunicare la danza per ragazzi. A ciò si aggiungono due importanti riflessioni. In primo luogo: la danza è un’attività molto praticata, sia a livello amatoriale che semi-professionale, a tutte le età. Una possibilità espressiva che in tutte le sue forme, dalle più classiche alle più contemporanee e ibride, in periodi delicati come l’infanzia e l’adolescenza ha il pregio di aiutare a sviluppare il senso della relazione con il proprio corpo, il mondo e l’altro da sé. È però difficile vedere bambini e ragazzi in platea, perché il passaggio da “azione” a “fruizione” è lasciato all’iniziativa del singolo. Il secondo punto concerne le modalità di distribuzione e comunicazione. Rivolgersi a un pubblico di minorenni significa implicitamente (e ciò talvolta viene sottovalutato) rivolgersi a degli adulti/insegnanti, che decidono se e cosa mettere in programmazione e successivamente a degli adulti/genitori, che stabiliscono se e quando accompagnare i ragazzi a teatro. È indispensabile quindi costruire un percorso di formazione intorno all’oggetto-spettacolo, che dia a tutti, adulti ma soprattutto ragazzi, gli strumenti per capire la danza come linguaggio, aiutandoli a sviluppare, nel contempo, autonomia di scelta e giudizio.

Chiara Marsilli