In un momento storico in cui il verbo manifestare sta riconquistando lo spazio sociopolitico che gli appartiene, lo spettacolo del coreografo Jacopo Jenna, Manifestus, presentato sabato 27 settembre al MilanOltre, assume un significato preciso e potente: manifestare significa dimostrare di esistere come corpo individuale in relazione a ciò che ci circonda – e dunque anche agli altri corpi. Se, come suggerisce l’ipotesi della relatività linguistica di Sapir-Whorf, il linguaggio influenza il pensiero e la percezione del mondo, allora in Manifestus il corpo diventa un nuovo linguaggio, capace di sostituirsi alla parola e di restituire una comunicazione più autentica e sensibile, fondata sul movimento e sulla presenza.
La performance – frutto della collaborazione tra Jenna e il coreografo di street dance Mattia Sly – è un caleidoscopio di gesti, ritmi e culture diverse. Dal popping al voguing, fino al waving, le mani modellano lo spazio e le sensazioni, creando un dialogo continuo tra singolarità e collettività.
Già dalla disposizione scenica, Manifestus rompe le convenzioni teatrali: il pubblico – massimo settantasei spettatori – siede in semicerchio direttamente sul palco, nella Sala Shakespeare dell’Elfo Puccini, a pochi metri dai danzatori. Le luci contribuiscono a questo ribaltamento di prospettiva: il bianco che taglia il nero della scena, il rosso delle poltrone vuote, i momenti in cui i corpi si trasformano in silhouette nere contro uno sfondo chiaro. Tutto concorre a creare un’esperienza immersiva, quasi intima.
I tre interpreti – Simone De Giovanni, Petra Mangoua e Phex – entrano in scena accompagnati da un suono secco che evolve progressivamente in un beat hip-hop. La prima parte è segnata da una danza ipnotica e meccanica: movimenti spezzati e improvvisi, come automi che scoprono lentamente la consapevolezza del proprio corpo attraverso l’interazione reciproca. La precisione del gesto e la sincronizzazione col suono costruiscono un tessuto visivo e sonoro di grande intensità.
Al centro della performance ci sono le mani, come suggerisce lo stesso titolo. Jenna ricorda che manifestus deriva dal latino manus – “mano” – e significa “chiaro, palese”. Le mani guidano il movimento, lo sguardo, l’attenzione dei performer e del pubblico. Sei mani diventano tentacoli di un polpo, maschera tribale, linguaggio universale. Le dita indicano gli spettatori, ricordando loro che anche il pubblico fa parte di questo dialogo.
La diversità delle tonalità di pelle degli artisti assume qui una forza estetica e politica: il corpo non solo come strumento espressivo, ma come manifesto socioculturale, in cui differenze e somiglianze convivono, si intrecciano e si potenziano a vicenda. Momenti collettivi e assoli si alternano, fondendo autonomia e collaborazione in un continuo scambio di energia.
Nel corso dello spettacolo, l’energia cambia: il movimento diventa più ritmico, spaziale e consapevole. I tre corpi si uniscono in un triangolo rotante, il pugno alzato, evocando una marcia. È un gesto semplice ma potentissimo: un’immagine della forza collettiva che si fa scena e simbolo. Anche il pubblico è chiamato a partecipare, invitato a tenere il tempo con lo schiocco delle dita – un piccolo gesto che rafforza il senso di comunità.
Nell’incontro che segue la performance, gli artisti parlano dell’emozione di danzare accanto al pubblico, di sentirne la presenza viva sul palco come parte stessa della scena. Alla domanda “Che cos’è per voi il teatro?”, Petra risponde senza esitazione: «Un emblema», mentre Phex aggiunge: «Uno spazio libero dove l’espressione diventa protagonista nella sua manifestazione».
Per loro, Manifestus rappresenta una dichiarazione d’intenti: aprire la street dance al palcoscenico teatrale, liberandola dalle logiche della competizione per valorizzarne invece il potenziale di dialogo e creazione collettiva. Come sottolineano Jenna e Sly, la danza può essere un terreno comune, un linguaggio in cui il gesto sostituisce la parola e la connessione prevale sulla separazione. «Finalmente un linguaggio artistico innovativo; una performance da rivedere assolutamente!» si sente commentare da diversi spettatori a spettacolo concluso. Con un sorriso, Mattia Sly chiude la serata con una riflessione scherzosa ma significativa: «Come ci è venuto in mente – riferendosi a se stesso e a Jenna – di fare questa cosa?». Una domanda che, in fondo, è la stessa che Manifestus pone al pubblico: come nasce il desiderio di esprimersi, di manifestarsi, di comunicare?
Manifestus; manifestare; manifestarsi.
Forse è proprio in questa triade che risiede il suo successo: in un mondo in cui sembra che non ci si ascolti più, Manifestus propone il corpo come nuovo strumento di comunicazione – un linguaggio capace di plasmare la percezione e la comprensione del mondo, e soprattutto, dell’altro.
Arianna Bonazzi
Manifestus
ideazione e coreografia Jacopo Jenna
con Simone De Giovanni, Petra Mangoua, Phex
collaborazione alla coreografia Mattia Quintavalle / SLY
musiche Alberto Ricca / Bienoise
direzione tecnica e luci Mattia Bagnoli
produzione KLm – Kinkaleri
con il supporto di OperaEstate Festival, MILANoLTRE, Fabbrica Europa
foto di © Jacopo Jenna
Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025