Tra guerre, dittature ed economie in crisi: le nuove geografie del teatro – Taccuino – Stratagemmi 19

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Descrizione

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Argentina, Libano, Bielorussia, Iran, Grecia: cinque nazioni che poco hanno in comune, se non una parola: crisi. Quella dell’Argentina, da poco sopravvissuta a un tornado che l’ha portata sull’orlo della bancarotta. Quella del Libano, stato cuscinetto in pericolosissimo equilibrio nella polveriera mediorientale, pronto, presto o tardi, ad accusare i colpi delle rivoluzioni che stanno mutando lo scacchiere politico della zona. Quella permanente della Bielorussia, ultima dittatura d’occidente, dove il premier Lukashenko non ha ancora debellato la polizia politica, il Kgb. Altrettanto preoccupante è la sorte dell’Iran, stretto nella morsa delle autorità religiose e del presidente Ahmadinejad, acerrimo nemico del mondo occidentale. Infine la Grecia, finora unico paese europeo ad aver pagato salatissimo il conto della crisi economica globale, che sta collassando sotto il peso del debito pubblico. Ma oltre la parola crisi c’è ancora qualcosa che accomuna questi cinque paesi. In tutti, il dissesto politico ed economico non ha fermato la riflessione culturale e artistica: tutt’altro. L’ha sollecitata, l’ha tenuta in vita, l’ha rinvigorita. Come se trovarsi in uno sta-to di precarietà costante, immobili su un crinale dove bisogna calibrare bene le proprie forze per non cadere, avesse spinto gli artisti, e i teatranti in particolare, a ragionare su una nuova strada. Quella in cui l’arte, e il teatro come sua forma elettiva, diventano la scusa e il pretesto per parlare di questa crisi, per commentarla, calarla nella vita quotidiana, per suggerire soluzioni, per trasformare la contemporaneità, oppure, semplicemente, per darsi forza a vicenda. Il teatro è diventato essenziale come lo è la speranza di tempi migliori

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