Nel tuo archivio personale, quali sono le principali fonti di ispirazione per il tuo lavoro artistico?
Nel mio lavoro rifletto spesso sul concetto di archivio, Altre Coreografie [una delle coreografie dell’artista in programma a MilanOltre, qui la nostra recensione n.d.r.] , ad esempio, attraversa e mette alla prova il concetto di archivio artistico attraverso una rete di coreografie ramificate, quasi schizofreniche. Non si tratta di un’opera univoca, ma di un immaginario costruito tramite un sistema di relazioni, referenze e rimandi. Il pubblico può coglierne solo alcuni frammenti — visibili o solo percepibili, non necessariamente espliciti. L’archivio, quindi, diventa un corpo vivo, che si manifesta in modi diversi a seconda dello sguardo di chi osserva.

Quanto il lavoro creativo sul gesto può essere paragonato a un’opera di sartoria?
Non conosco a fondo il lavoro del designer, ma credo ci sia un punto in comune: è come un interprete che genera la forma dell’immagine. Lavoriamo entrambi a partire da una visione, cercando di applicarla al corpo umano. Gli abiti creano un certo tipo di rappresentazione: sono linee che trasformano il corpo anche da un punto di vista sociale. L’apparenza, il modo in cui un corpo viene percepito, le informazioni che trasmette e incorpora: tutto questo entra in gioco sia nella moda che nella danza.

Proprio ripartendo da qui: pensi che la danza segua tendenze cicliche come la moda?
Tutta l’arte, in un certo senso, segue delle tendenze. La moda, etimologicamente, deriva da modus, cioè maniera, consuetudine: è un sistema di omologazione che genera categorie. Le categorie rassicurano, ci rendono riconoscibili, ma per l’arte il processo creativo è differente. L’arte non vende prodotti, non fa marketing, almeno in teoria. Certo, anche nella danza esiste la distribuzione, ma non è quella a muovere la ricerca. Le tendenze esistono, ma ciò che mi interessa è esplorare l’ignoto, ciò che sta oltre il baratro. Cerco il non categorizzabile: una danza che indaga l’invisibile, più che seguire un’estetica di tendenza.

Concludiamo parlando dell’ultimo tema semantico di MilanOltre 2025: la tecnologia. Nel tuo lavoro è più oggetto di indagine o strumento espressivo?
Direi strumento espressivo, anche se in realtà sono due facce della stessa medaglia: procedono insieme. La tecnologia non è un elemento nuovo, ma sono nuove le relazioni che si instaurano con essa. Ci sono tecnologie che si interfacciano in modo interessante con la coreografia, specialmente nel rapporto tra immagine e video. Non si tratta però di danza, perché il video è riproducibile, mentre la danza vive solo nel presente. In Altre Coreografie, ad esempio, il montaggio video si adatta alla danza con l’intento di manifestarsi come un corpo vivo in uno spazio reale. Il lavoro del danzatore e del coreografo resta distante dal video: ciò che ci interessa è la relazione immediata che solo la danza può generare. Parliamo di empatia cinestetica, di un flusso vitale che la tecnologia, per quanto avanzata, non potrà mai replicare.

A cura di Arianna Bonazzi


Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025