«Il calore è una forma di energia che attraversa la materia, di cui tutti siamo parte, che influenza l’esperienza di ciascuno di noi e determina ciò che abbiamo attorno»: è con queste parole che, durante il talk al termine di Heat-us, Giulio Galimberti, uno dei tre ideatori del progetto insieme a Chiara Cappelletto e Arcangelo Merla, descrive il nucleo tematico alla base della performance. Con regia della danzatrice e coreografa Stefania Ballone, interprete del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, Heat-us è frutto di un dottorato di ricerca che ha coinvolto il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e l’azienda Next2U. In scena al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”, a sottolineare il legame tra danza e scienza, il progetto esplora la rappresentazione delle relazioni di calore invisibili all’occhio umano: l’intento degli autori è di farci comprendere come, nonostante l’individualismo sempre più accentuato del nostro tempo, siamo tutti immersi in una rete comune dove chiunque cede e riceve la propria energia, in senso fisico come emotivo.
La performance si basa infatti sulla presenza delle termocamere, che mostrano la temperatura dei corpi attraverso i tre schermi sul fondo della raccolta Sala Biancamano. All’ingresso del pubblico in sala, i ballerini sono già presenti sulla scena, stretti in un groviglio di membra a formare un solo corpo. Nella scelta di far sedere gli spettatori per terra, in cerchio attorno a loro, si legge un duplice scopo: descrivere un recinto, un temenos – lo spazio sacro dedicato al culto di un dio nella Grecia antica – dove possa svolgersi il rituale della performance, e contemporaneamente includere in esso chi guarda. Al calare del silenzio, ora disperdendosi ora compattandosi, i ballerini sembrano comportarsi come le particelle di un organismo sottoposto alternativamente a contrazione e dilatazione termica: si aggregano a coppie di due, si disperdono ai lati lasciando la scena all’assolo di un singolo, di nuovo si riuniscono in unisono. Così il ritmo della danza – dall’impostazione marcatamente contemporanea – accelera e altrettanto bruscamente diminuisce; i movimenti sono sempre chiari, ieratici, riconducibili alla simmetria della scultura classica come alla fluidità de La danza di Matisse.
Alle loro spalle, negli schermi, i corpi dei ballerini sono fisionomie indistinguibili, accesi dal proprio calore; due di loro, a un certo punto, prendono direttamente possesso delle termocamere, inquadrandosi da distanza ravvicinata ma anche voltandone lo sguardo in direzione del pubblico. La rappresentazione in questo modo si sdoppia: da una parte il campo della realtà, dove restiamo in possesso della tridimensionalità fisica dei nostri connotati; dall’altra un comune campo termico, dove ci si scopre fatti di una stessa sostanza che annulla le differenze individuali. Le suggestive musiche di Taketo Gohara, da anni collaboratore di Ballone, sottolineano i cambi di temperatura che marcano il progredire della performance: da una melodia a carattere nostalgico si passa a un beat più dance, a uno stridore che quasi rievoca un film horror, quindi a una malinconica suonata per pianoforte, per concludere con una musica tambureggiante.
C’è però da notare come, nonostante le intenzioni verso cui appare orientato l’impianto drammaturgico, la temperatura emotiva resta pressoché invariata dall’inizio alla fine. La causa fondamentale di questo (non)-effetto sembrerebbe risiedere nella disgiunzione tra l’utilizzo del dispositivo tecnologico e la coreografia: la sensazione è che quest’ultima possa sussistere da sola, non intessendo alcun rapporto dialogico con le termocamere e quanto da esse registrato. Se concettualmente è un esperimento interessante, nella messa in scena danza e tecnologica restano due entità separate che parlano ciascuna la propria lingua senza trovarsi in un territorio comune. In questo modo, alla lunga, la coreografia rischia di diventare monotona.
In alcuni momenti vengono introdotte variazioni termiche potenzialmente cariche di significato. Il primo, quando due ballerini, uomo e donna, danzano assieme mimando come un rituale di accoppiamento, e l’immagine sullo schermo appare brevemente in bianco e nero: perché, ci ricorda Arcangelo Merla nel talk finale, è sempre il corpo più caldo che cede calore a quello più freddo, e lo scambio si interrompe una volta che entrambi i corpi hanno raggiunto l’equilibrio termico. Poi, quando il sudore di un corpo steso a terra è registrato dalle termocamere in forma di sagoma umana, e i ballerini vi danzano attorno come fosse un fuoco primordiale. Infine, sul finale, uno di loro si versa addosso con una brocca dell’acqua fredda, che negli schermi appare come una chiazza nera. Tuttavia, in tutti questi casi, si ha la sensazione che la ricerca potesse essere spinta più in profondità e l’effetto complessivo rimane nell’ambito di un gioco estetico.
Al termine del talk successivo alla performance, quando il pubblico viene chiamato a occupare la scena e testare su di sé le termocamere, gli sguardi esprimono una pacata curiosità scientifica che però si esaurisce presto: non accadrà nulla di diverso da quanto si è già visto. Gli spettatori chiacchierano amabilmente, dimentichi degli schermi, dove le loro figure continuano a bruciare del proprio calore interno. I loro cuori, però, sono rimasti se non freddi, quantomeno tiepidi.
Lorenzo Giurdanella
foto di © Vito Lorusso
Heat-us
coreografa Stefania Ballone
progetto di ricerca di Chiara Cappelletto, Giulio Galimberti e Arcangelo Merla, in collaborazione il Dipartimento di Filosofia “Piero Martinetti” dell’Università degli Studi di Milano, e con Next2U s.r.l.
con Silvia Crotti, Rosanna Spolsino, Giulia Pironi, Pietro Ongaro, Nik Folini
sound design Taketo Gohara
visual David Capuano
produzione Associazione Fulcro
co-produzione MILANoLTRE
con il sostegno di: Nastrificio Victor s.p.a.; Fondazione Cariplo; SIE – Società italiana di Estetica; Casa San Vito; Fattoria Vittadini; Danza Teatro del Teatro Oscar Milano; DellaLò Milano; Dimensione Solare
Con l’appoggio di PIS – Performing Identities Studies LAB e del Centro di Ricerca Coordinata EXT – Extended Realities dell’Università degli Studi di Milano
Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025