«Perché fai il comico?». È questa la domanda che innesca la stand-up comedy di Pasquale Gorrasi, classe 1995 e per questo classificato come “Zillennial”. Il termine, da cui prende il nome lo spettacolo, identifica infatti tutti coloro che sono nati a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, tra due generazioni, coloro che non sono quasi più Millennials ma al contempo non sono ancora Generazione Z.
Sul palco di WAO Romolo C30, Gorrasi inizia a raccontare di sé e della sua adolescenza a Ladispoli: una città della provincia romana sprovvista di cinema ma – ci ricorda – diventata celebre per un leone scappato dal circo e immortalato tra le vie del suo centro. Trasferitosi a Milano, si è trovato a fare i conti con costi degli affitti esorbitanti per appartamenti angusti, con caldaie (del 1995, come lui) che non sa come far funzionare. L’intero monologo è un rapido susseguirsi di immagini, racconti e avvenimenti di cronaca: un insieme eterogeneo di storie che, una dopo l’altra, intessono le fila di Zillennial, intrecciandosi, sovrapponendosi e costruendo così un divertente spaccato di vita contemporaneo.
Gorrasi sviluppa il suo discorso scegliendo l’espediente narrativo dell’autointervista, raccontando di un incontro tenutosi nel suo ex liceo con le nuove generazioni di alunni. «Mi hanno chiesto che cos’è l’11 settembre 2001: gli ho spiegato che è il motivo per cui adesso ci sono così tanti controlli in aeroporto». È con ironia e semplicità che vengono illustrati in successione frammenti di quotidianità in cui è facile identificarsi. Vengono, ad esempio, toccate tematiche attuali come l’utilizzo di droghe leggere, la guida in stato di ebbrezza e l’introduzione del nuovo codice stradale. Ed ecco allora che il microfono si trasforma momentaneamente in un Altilock, l’etilometro portatile, in cui Gorrasi soffia, scherza, critica.
La sua comicità naturale e spontanea diventa strumento per raccontare un disagio generazionale, riuscendo a esorcizzarlo con il pubblico che viene coinvolto e diventa parte attiva dello spettacolo. L’interazione diretta con lo spettatore, elemento cardine della forma espressiva della stand-up comedy, è infatti in grado di generare una relazione viva tra palco e platea alimentata da domande, risposte, risate.
In uno spazio spoglio, solitamente adibito al coworking, senza giochi di luce o musica, la sola parola diventa protagonista, riempiendo la scena. Gorrasi, infatti, crea da subito un’atmosfera confidenziale, conducendo con disinvoltura il discorso e rimanendo sempre in ascolto dei suoi spettatori. Il monologo si apre così al dialogo e diventa occasione per confidarsi e confrontarsi sui più svariati argomenti. Tra questi, vi è un’istantanea tragicomica del lockdown vissuto “all’italiana”, descritto come una tesa partita a scacchi tra i continui DPCM e il cittadino medio in cerca di scappatoie per aggirare il sistema e poter uscire di casa incurante. Si definisce così un caleidoscopico affresco della società contemporanea.
Con una gestualità minima e un tono confidenziale, Gorrasi riesce efficacemente a creare e sostenere il legame con il pubblico con un ottimo utilizzo di ritmo e tempi comici. Risponde infine a quella domanda posta dagli studenti liceali da cui tutto era iniziato, come a tirare le somme: «Perché fai il comico?». Perché la comicità non si limita a essere un registro espressivo – dice – ma può diventare una vera e propria necessità di raccontare e raccontarsi. E il pubblico, diverso e nuovo ogni volta, sarà sempre pronto non solo ad ascoltare, ma a diventare anch’esso artefice e coprotagonista di un processo creativo, in qualche modo anch’esso catartico.
Carola Ambrosioni
immagine di copertina: foto di Davide Aiello
ZILLENNIAL
di e con Pasquale Gorrasi
La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025