«Gravità e leggerezza»: non ci sono parole-concetto migliori per parlare di Twelve Ton Rose, coreografia ideata da Trisha Brown, in scena per la prima volta a Brooklyn nel 1996 e riproposta dal CCN Ballet de Lorraine a MilanOltre, come primo tempo di un programma doppio. Parole-concetto con le quali la storica della danza Sally Banes titolava il capitolo monografico dedicato alla Maestra della Postmodern dance nel suo Terpsichore in Sneakers (1987).
I nove interpreti, rosso e nero vestiti, in leggeri pigiami a maniche lunghe o abiti trapezoidali scendono in campo sulla tradizionale scatola nera vuota come pedoni degli scacchi.
Sono blocchi di colore, a contrasto (rosso) o in sovrapposizione (nero) e si muovono sulla scena comparendo nel momento più propizio dalle quinte, dando vita ad incastri, incroci, pensatissimi sorpassi; isolandosi in quadrati immaginari; duplicandosi o copiandosi; scambiandosi il peso. Quando si trovano soli impongono la grammatica agendo come pendoli o meridiane. In gruppo compongono un domino di movimenti significante di per sé, generando sequenze a canone, momenti corali, duetti e trii in contrappunto sugli accordi rarefatti dei Four Pieces for Violin and Piano, Op. 7 di Anton Webern.
Nell’osservare le opere di Trisha Brown, non è possibile svincolare il lavoro geometrico nello spazio strutturato dal gruppo, dal lavoro funzionale sui principi del movimento proprio del corpo, vero motore coreografico. Allo stesso tempo, senza una dialettica corporea del peso, non è possibile leggere quali combinazioni prendono forma nel dialogo con lo spazio e con gli altri corpi. La fisica precede la geometria: protagonista è la ricerca di un gesto funzionale e senza sforzo, non il vezzo di una realizzazione scenica.Trisha Brown indica l’indagine pura sul movimento come la via per trovare un modo di stare nello spazio e nel mondo, nel quale la propria soggettività non è imposta a priori, ma una scoperta inattesa nel momento in cui si era intenti ad esplorare il peso, il volume, l’organicità, la materia.
Messa in relazione con la lezione coreutica e coreografica di Brown, quella proposta dalla compagnia francese sembra allora una versione sbiadita e un po’ meccanica, che ci ricorda come l’astratta complessità della ricerca sul movimento dei Postmoderni non costituisca un gusto di scena, ma una vera e propria visione del mondo.
Il sipario si riapre su a Folia di Marco da Silva Ferreira, creativo portoghese classe 1986 con alle spalle esperienze da danzatore con Hofesh Shechter, Victor Hugo Pontese e altri. Il linoleum nero è stato cambiato, ora è lucido. Le casse scricchiolano artificialmente, sottolineando l’inizio di qualcosa, mentre il fumo annebbia la scena illuminata verticalmente. Questi primi elementi fanno pensare a un night-event da fashion week dove, come nei party di alcune tv series, i cocktail s’intonano ai plissé e ogni elemento è studiato millimetricamente, pronto per passare al vaglio della macchina da presa.
Confermano l’ipotesi i primi tre danzatori che dalla penombra del retropalco conquistano la ribalta annusando ritmicamente l’aria a carponi. Sono perfette bestie della notte, impeccabili personaggi agghindati con abiti fetish e drappi fluo-chic, glitter e ombelichi da indossatrici. A scaglioni li raggiungono gli altri venti compagni in prendisole trasparenti, pantaloni frangiati o guaine luminescenti. Perpetuano con il corpo una pulsazione binaria a scatti, a volte eseguita più visceralmente in plié, altre in maniera più distaccata, mantenendo una verticalità marciante, oppure con allure estatica, quando le braccia vengono lanciate verso l’alto. I danzatori non si rivolgono al pubblico, impegnati a cercarsi vicendevolmente con lo sguardo e a darsi il passaparola con il loro ondeggiamento. In questa seconda messa in scena sono vivi e divertiti.
Dopo le presentazioni, la svolta: un danzatore guarda il pubblico, poi un altro lo imita saltandogli sulle spalle in posizione da vedetta e dando vita a una parata verso il proscenio. Intanto il remix musicale electropop di Luis Pestana rivela la sua fonte: La Folia, celebre sonata per violino di Arcangelo Corelli. Disposti tutti in semicerchio a raggiera, intensificano il loro unisono, realizzando la copertina dello spettacolo: ognuno, facendo combaciare i palmi delle mani e formando un triangolo con le braccia, imita un soffietto per attizzare il fuoco. In portoghese l’utensile si chiama fole, radice ardente di questa concitata danza contadina di moda tra il Cinquecento e il Settecento.
La gazzarra evolve lasciando spazio ad assoli, duetti, danze spontanee e vorticose eseguite al centro sotto lo sguardo complice e le urla di incoraggiamento del gruppo. Tra movenze waaking e voguing, e l’imitazione del flamenco, si erge il cigno nero che esegue la sua danza sulle punte degli scarponi neri in stile Bottega Veneta by Daniel Lee. Senza troppe altre variazioni, fatta eccezione per un lento corteo finale quasi silenzioso, il buio cala sulla tribù in festa.
La forma smagliante di questo energetico carnevale fashion cattura il pubblico. Ha le qualità e la plasticità dello show, non la costituzione riflessiva e generatrice di senso della coreografia: non scrive (-grafia) una poetica in danza (-coreo) sulla scena, al contrario si impone con il carattere dell’immagine che colpisce la retina con la modalità del flash fotografico. Un’orchestrazione scenica che fa ripensare all’affollata e dorata cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Parigi del 2024, firmata da Maud de Pladec, non a caso neodirettrice del CCN Ballet de Lorraine.
Negli show come questi l’arte coreutica non è un luogo attraverso il quale indagare possibilità per stare nel corpo e nel mondo, ma un modo di attestare il contemporaneo sotto forma di immagine. L’invito di De Pladec alla fashion designer Jeanne Friot nel ruolo di artista residente ne costituisce forse un’ulteriore espressione.
Un buon modo per assistere ad a Folia, in linea con alcune odierne proposte di spettacolo, è fruire della sua estetizzazione ritmica e patinata, senza andare alla ricerca di nessun’altra chimera, considerandola come la meticolosa orchestrazione di un presente irriflesso.
Matteo Merogno
foto di © Ronan Muller e © Laurent Philippe
Twelve Ton Rose
debutto 1996, ricreazione 2022 a cura di Trisha Brown Dance Company
coreografia Trisha Brown
con 9 danzatori e danzatrici CCN – Ballet de Lorraine
responsabili prove ricreazione 2022 Kathleen Fisher, Katrina Warren
musiche Anton Webern
disegno luci Spencer Brown
costumi Burt Barr
produzione CCN – Ballet de Lorraine
a Folia
coreografia Marco da Silva Ferreira
con 24 danzatori e danzatrici CCN – Ballet de Lorraine
assistente coreografia Catarina Miranda
musiche originali Luis Pestana, ispirate alla partitura di Arcangelo Corelli Sonata per violino in Re minore “La Folia”, Op. 5 n. 12
disegno luci Teresa Antunes
responsabile prove Valérie Ferrando
costumi Aleksandar Protic
produzione CCN – Ballet de Lorraine
coproduzione Mafalda Bastos, P-ulso
produzioni realizzate dal Centre Chorégraphique National – Ballet De Lorraine
con il sostegno di Ministère de la Culture – DRAC Grand-Est, Conseil Régional Grand-Est e Ville de Nancy
Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025

