In un contesto non convenzionale – Cascina Cuccagna, nel cuore del quartiere di Porta Romana – è andato in scena Agrumi, spettacolo teatrale scritto e interpretato da Claudia de Candia e diretto da Umberto Terruso: un monologo sulla gravidanza e sul diventare madre, al contempo leggero, piacevole e sull’orlo del tracollo, dell’esaurimento nevrotico. Si tratta di un testo in cui la maternità, le sue ansie e i suoi fastidi sono raccontati con un linguaggio fisico, quotidiano e ruvido, tra il comico e l’emotivamente esausto, l’introspettivo e il nostalgico.
Il cuore drammaturgico di Agrumi si trova nel paradosso identitario insito nell’essere madre. Da un lato, la maternità è vissuta come un ruolo inequivocabile e tangibile: il corpo cambia, cede, si slarga; la stanchezza si incolla alla pelle, e lo sguardo degli altri nomina, identifica, sancisce questa nuova, fortissima identità. Dall’altro – in questa codificazione così precisa e socialmente riconoscibile – si insinua strisciante uno sgretolamento stordito, un avvertire, con furia, del dissolversi dell’identità precedente. De Candia restituisce questo smarrimento, scansando idealizzazioni e visioni edulcorate o retoriche maternità. Offre, piuttosto, materia e concretezza all’argomento, conducendo lo spettatore in un percorso intimo e condiviso, che passa per l’esperienza personale di un’unica donna. La relazione che l’attrice costruisce con il pubblico è, probabilmente, l’elemento più forte e riuscito della messa in scena: sincera e gentile abbastanza da richiamare su di sé lo sguardo che lo spettatore a volte distoglie, posto davanti a tanta vulnerabilità.
Un altro aspetto molto riuscito della performance è la capacità che ha di convivere con la tensione suscitata dagli opposti che lo attraversano: la definizione e lo smarrimento, la forma e la frantumazione, l’ironia e il dolore. Tutto senza mai scadere nel didascalico o nel compiacimento.
Agrumi è una performance che non pretende di fornire risposte, ma che ha il coraggio di porre domande – alcune universali, altre scomode, tutte oneste. È un’opera che restituisce concretezza a un’esperienza come quella della maternità che spesso rischia di essere usata soltanto in chiave universale, simbolica, metaforica. E, soprattutto, è un teatro che parte dal corpo per risalire alle domande più essenziali sul tema: Che posto ha il desiderio individuale nella maternità? Dove finisce la donna e comincia la madre? In che bestia rischi di trasformarti, quando sei madre e basta?
Sara Buono
immagine di copertina: foto di Davide Aiello
AGRUMI
di e con Claudia de Candia
regia Umberto Terruso
La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025