Santarcangelo 41. Festival Internazionale del Teatro in Piazza _ 8-17 luglio 2011

Un muezzin (Mariangela Gualtieri) che ogni sera recita dalla Torre Civica i suoi versi in forma di “grazie”; un coro gregoriano (a cura della musicista Elena Sartori) creato tramite un laboratorio realizzato con i cittadini di Santarcangelo appositamente per il Festival; un “coro doppio” che, con la partecipazione di tutti coloro che hanno lavorato per mesi sotto la guida di Dario Giovannini (compositore e fondatore del gruppo Aidoru) racconta il mondo di oggi attraverso la politica e i rapporti sociali.

Questi e molti altri frammenti della 41° edizione del Festival di Santarcangelo (8-17 luglio) sembrano costituire il vocabolario di un’inedita liturgia pagana, di cui emerge chiara la valenza di chiamata rivolta alla comunità. E proprio questa sembra essere la cifra dominante della direzione di Ermanna Montanari, che in una “chiamata pubblica” pone una delle azioni più incisive e visibili dell’intero Festival: un popolo di sedie, disposte in colonna da un’estremità all’altra della Piazza centrale di Santarcangelo, donate dai teatri che hanno risposto all’appello diffuso nel mese di maggio attraverso tutta la scena italiana. Sedie come ambasciatrici silenziose di realtà disseminate nel territorio, che con la loro presenza fanno vibrare la voce “oltre i confini chiusi dei teatri” e si reinventano come elemento cardine dello spazio pubblico, fulcro della piazza che si anima non solo del pubblico del festival ma anche di cittadini, curiosi e passanti in cerca di una luogo di sosta.

Ma la potente chiamata non coinvolge solo la piazza centrale, è l’intera città a propagarla e diffonderla. In giro per Santarcangelo può capitare allora di sentire le note di una tromba suonata su un terrazzo e di intravedere, affacciata verso il pubblico che spontaneamente si raduna per strada, la sagoma del musicista Simone Marzocchi; o di assistere alle proiezioni video di una giornata di Festival (ripresa, come c’era da aspettarsi, da un “coro” di videomaker, gli instancabili operatori “Ágō-go”). O, ancora, di origliare, passando per il Caffè Commercio, una strana conversazione tra due avventori seduti a un tavolo e di accorgersi poi che si tratta degli attori-spettatori di Etiquette – una scrittura scenica “dettata” tramite cuffie e immediatamente agita.

Certo non stupisce che a rispondere nel modo più efficace all’invito del Festival alla coralità e alla partecipazione sia proprio Marco Martinelli con il suo Eresia della felicità, laboratorio-rito che si ripete ogni sera al tramonto. Temprato dalle ormai moltissime esperienze con adolescenti da tutto il mondo – da Scampia al Senegal, da Mazara del Vallo agli Stati Uniti – Martinelli guida come un infallibile direttore d’orchestra un “plotone” di 200 giovanissime voci. Gli instancabili neo-attori, sotto gli occhi attenti dalle guide delle Albe (impegnate anche nella traduzione simultanea delle indicazioni di regia), si muovono come furie nello spazio ampio e polveroso dello Sferisterio, ai piedi della rocca di Santarcangelo, dando corpo e voce ai versi di Majakowskj. La credibilità con la quale i ragazzi pronunciano parole poetiche così lontane dal loro quotidiano, la spontaneità con cui fanno proprie le indicazioni sceniche proposte da Martinelli non può che indurre una riflessione sullo statuto stesso dell’attore, elemento guida e nucleo tematico dell’intera programmazione.

L’urgenza di comunicare e condividere il teatro “in piazza”, vocazione del Festival esplicitata nel nome fin dalla sua nascita e portata avanti con forza da questa direzione artistica, sembra tuttavia a tratti affievolirsi quando si valica la soglia dei teatri. Il cartellone di questa 41esima edizione si contraddistingue per una buona combinazione tra i nomi più noti del panorama di ricerca italiano e romagnolo (dai Motus alla Societas Raffaello Sanzio, da Teatro Sotterraneo all’Accademia degli Artefatti) e incursioni nel panorama contemporaneo internazionale (dal giapponese Oriza Hirata al bulgaro Ivo Dimchev, dagli artisti autori delle installazioni della Quadriennale di Praga, fino alla presenza di Judith Malina, direttamente dal newyorkese Living Theatre, all’interno della creazione dei Motus).

Eppure alcuni momenti della programmazione ci sembrano correre, di tanto in tanto, il rischio dell’autoreferenzialità e paiono non riuscire a comunicare fino in fondo a un pubblico diverso da quello degli addetti ai lavori: si vedano, per esempio, le sofisticate e poco fruibili ricerche sul corpo e sull’immagine di Masque Teatro. La sfida e lo spunto per la prossima edizione potrebbe essere allora quella di completare e di portare fino in fondo le istanze poste con forza dal festival di quest’anno: dopo il teatro in piazza, è tempo di portare la piazza nei teatri.

Maddalena Giovannelli
Francesca Serrazanetti