Ad accoglierti nella sala del Lavoratorio, in occasione di Ho un progetto: includervi, non è Massimo Verdastro. E non è nemmeno Nino Gennaro, al quale la serata è dedicata. È Maria Di Carlo, compagna di vita di Gennaro, che appare in un filmato dei primi anni Novanta, proiettato su uno schermo posto sul fondale: accento siculo di una simpatia accattivante, è al telefono per convincere l’interlocutore a venire a teatro per un debutto imminente. Parole semplici, oneste, dalle quali si vede che riempire quella platea per lei non è solo lavoro: è un atto politico… e, alla fine, ti viene voglia di dargliele, 10.000 lire per un biglietto. Anche Massimo e Nino appaiono in quel video: si tratta di un collage di spezzoni di spettacoli e performance, una capsula del tempo che arriva da più di trent’anni fa e porta con sé la voce di Gennaro, già malato ma fiero, energico, ripreso mentre legge ad alta voce un suo breve testo.
Al termine del video, dopo una breve eco nel buio, la luce illumina il palco: Verdastro è già lì, pronto a interpretare un monologo da La divina di Palermo, la prima drammaturgia di Gennaro messa in scena da Massimo, nel 1994. Unico testo affrontato mentre l’autore era ancora in vita, ma non l’ultimo: a quello seguirono infatti Alla fine del pianeta (1997), Rosso Liberty (1997), Teatro Madre (1999) e Non ho tempo di badare ai miei killer (2016). Qui, al Lavoratorio, Verdastro indossa un completo bianco, con la giacca aperta a rivelare una maglia rosa shocking su cui campeggiano alcune parole di Nino, scelte con attenzione per rivelarne, con un rapido colpo d’occhio, la statura e l’anima: «La fatica di rientrare nella media e la felicità di non riuscirci». I due si conobbero quando Verdastro giunse a Palermo con la compagnia del pittore e regista Silvio Benedetto, nel 1978, e Nino arrivava “autoesiliato” dalla sua troppo stretta Corleone, insieme alla sorella Giusi e a Maria Di Carlo: tutti nomi che tornano più volte, in questo racconto-spettacolo. Proprio di Benedetto è un altro dei contributi video, che ci racconta l’esperienza del Teatro negli Appartamenti, di quel fatiscente Hotel Centrale che li ospitava gratuitamente in cambio di alcune repliche degli spettacoli, soprattutto dell’incontro con Nino Gennaro, con questo giovanissimo drammaturgo dai versi di fuoco. Armato di dissacrante ferocia verso quei nemici che lo costrinsero all’esilio e al distacco dalla famiglia – la mafia, il patriarcato, la società matrigna – ma anche di una poesia dolce e accogliente verso tutti coloro che abitavano analoghi luoghi dell’anima, Nino Gennaro è stato un attivista, un testimone di vite ai margini, della sua fame d’amore e di vita. Massimo Verdastro sa come sfoderare le proprie armi durante questa conversazione-spettacolo: regista, attore, premio UBU, premio ETI, tra poco festeggerà i 50 anni di carriera. Ma a noi, stasera, appare solo come un uomo che vuole parlare di un ricordo dolce e triste, di un amico che non può, né vuole, dimenticare.
Il 2025 è un anno importante per entrambi: alla sua quindicesima edizione, il Sicilia Queer filmfest ha conferito a Verdastro il premio intitolato proprio a Nino Gennaro, nel trentesimo anno dalla sua scomparsa. Lo spettacolo nasce per questa circostanza, e il sottotitolo Massimo Verdastro racconta Nino Gennaro sembra condensare decenni del loro percorso: quello di Gennaro, interrotto troppo presto dall’HIV; quello di Verdastro, rimasto a testimoniare l’amico fraterno e il loro sodalizio. L’uno racconta l’altro, e quello si lascia raccontare dai suoi scritti, dai suoi personaggi, dalle lettere che ha scritto a Massimo tra il 1991 e il 1995 e che questi ha raccolto nel libro, pubblicato da EFG, Caro amico ti scrivevo. «Piuttosto che tenerle chiuse in un cassetto, ho sentito il bisogno di condividerle: sono pagine di straordinaria intensità umana e poetica, una voce del nostro Novecento di cui oggi, più che mai, sentiamo la mancanza», ci dice Massimo di quelle lettere, presentandole come un regalo… come quei Libretti Gioiattiva che Gennaro scrisse negli ultimi anni della malattia, in tiratura limitata, e che donò ai suoi amici. Libretti scritti rigorosamente a mano e colmi di parole che indicano una via verso l’amore: un amore politico, fatto di impegno e rispetto verso sé e gli altri, come ci ricorda Massimo quando legge «Cambiate partner: fate la corte alla gioia». Quel partner da abbandonare, secondo Nino, è la nostra tristezza. E questa frase, la possiamo trovare anche nella stanza monografica dedicata a Nino, nell’ambito della mostra VIVONO: Arte e affetti, HIV-AIDS in Italia. 1982-1996 del Centro Pecci. Una frase che Verdastro, ad ascoltarlo mentre ci racconta questo amore, senza tristezza ma soltanto con una punta di dolorosa malinconia, sembra non aver dimenticato neanche trent’anni dopo.
Marco Bartolini
in copertina: foto ufficio stampa
HO UN PROGETTO: INCLUDERVI
Massimo Verdastro racconta Nino Gennaro
di e con Massimo Verdastro
con i contributi video di Silvio Benedetto, Nico Garrone e Pippo Zimmardi
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Officina Critica #3