Un palco grande, bianco e completamente vuoto accoglie lo spettatore. Nel silenzio, sopraggiunge una donna. Scalza, fa lentamente il suo ingresso sulla scena. Lo spazio sembra immenso per una persona sola: come potrà riempirlo interamente con il solo corpo?
L’interprete, Ramona Caia, comincia con piccoli movimenti, come se si stesse riscaldando prima di iniziare davvero. Muove le braccia, prima piano, con un gesto alternato e regolare, tanto discreto che è difficile capire se stia davvero “facendo” qualcosa.
Poi, alle sue spalle, la parete bianca si illumina: compare un video in bianco e nero, dove un’altra donna ripete lo stesso movimento con le braccia, su e giù, avanti e indietro. Il gesto si duplica, si rispecchia, e quella semplice sequenza di riscaldamento si trasforma progressivamente in una coreografia condivisa. Il ritmo cresce, si accelera, finché non sfocia in qualcosa di più ampio e vitale.
È da qui che lo spettacolo prende vita. Diventa rapido, incalzante, a tratti ironico, in altri momenti emotivamente intenso. Caia occupa tutto lo spazio che ha davanti a sé, e quel palco prima vuoto ora trabocca di suoni, colori e immagini.
Sul grande schermo si alternano, in sequenze più o meno serrate, estratti di filmati eterogenei: ballerini celebri, artisti di strada, video amatoriali, frammenti di danza tratti da film, performance rituali e danze popolari provenienti da epoche e culture lontane. È una vertigine visiva, una collezione di corpi che danzano nel tempo e nello spazio.
A tratti non si sa chi guardare: le immagini proiettate o la danzatrice in scena. Il movimento dell’una completa, prolunga o contraddice quello dell’altra, generando un dialogo continuo fra il corpo reale e quello mediato, fra presenza e rappresentazione. È qui che si colloca il cuore del lavoro: un confronto dinamico tra la danza “viva” e la sua memoria registrata, che insieme costruiscono una coreografia inedita e collettiva, frutto della somma di gesti umani sedimentati nel tempo.
Lo spettacolo evolve così in una riflessione potente su come la danza sia un linguaggio universale, capace di esprimere emozioni, identità e culture, anche dove un significato apparente sembra mancare.
Il culmine arriva in una sequenza sorprendente: una carrellata di funerali. La morte, le bare, i corpi in processione. Coreografie di dolore e di resistenza: danze che servono a esorcizzare la morte o, forse, a sublimarla.
È in questo dialogo tra corpo umano e immagine filmica che lo spettatore intuisce quanto il bisogno di esprimersi sia connaturato alla natura umana, da sempre. Tuttavia, nella parte finale, il dialogo si incrina, fino al cortocircuito visivo e concettuale. La scena si affida quasi del tutto alle sequenze video realizzate da Roberto Fassone, mentre il corpo di Caia si ferma, si distende a terra, immobile, come svuotato.
Sul video scorrono immagini di animali e paesaggi: la prima mostra un gruppo di formiche che trasporta il cadavere di un ragno. L’eco visiva dei cortei funebri precedenti è evidente: anche la natura danza, anche la natura celebra la vita e la morte.
Nella parte conclusiva, le immagini e le musiche creano una dissonanza volutamente straniante, che divide il pubblico: c’è chi ride, apprezzando il contrasto, e chi resta perplesso, spiazzato.
Il viaggio termina poco dopo, lasciando gli spettatori con la sensazione di aver attraversato un archivio vivente della danza — un atlante in movimento di gesti, culture e desideri.
Ed è proprio grazie a quel montaggio di immagini, orchestrato con cura da Jacopo Jenna, che Alcune coreografie trova la sua forza.
Jacopo Jenna, coreografo, performer e film-maker, è un artista che esplora da anni il rapporto tra danza e immagine, corpo e dispositivo tecnologico. La sua ricerca, nutrita da un’attenzione costante alla cultura visiva contemporanea, interroga la possibilità di trasformare l’archivio in materia coreografica: il passato della danza diventa corpo presente, memoria in azione.
In questo senso, Alcune coreografie non è solo uno spettacolo, ma un esperimento di traduzione reciproca tra corpo e video, dove Ramona Caia presta la sua fisicità e sensibilità al servizio di una riflessione più ampia sul gesto umano.
Quante coreografie servono, allora, per raccontare l’essere umano e il suo bisogno di esprimersi, di danzare, di interagire?

Silvana Accardo

foto di © Jacopo Jenna – Hideto Maezawa

Alcune coreografie

ideazione, regia e videocoreografia Jacopo Jenna
in collaborazione e con Ramona Caia
in collaborazione e con le riprese di Roberto Fassone
musica originale Francesco Casciaro
luci e direzione tecnica Mattia Bagnoli
costumi Eva di Franco
organizzazione Luisa Zuffo
produzione KLm – Kinkaleri
coproduzione Centrale Fies
con il supporto di Azienda Speciale Palaexpo – Mattatoio: Progetto PrendersiCura

Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025