No to spectacle.
No to virtuosity.
No to transformations and magic and make-believe
.

Le parole del No Manifesto (1965) di Yvonne Rainer risuonano nella conversazione tra Jari Boldrini, Fabrizio Favale e Giulio Petrucci con gli spettatori al termine delle performance. È ancora possibile – ci dicono i tre danzatori – portare al pubblico una danza ridotta ai suoi elementi essenziali: i movimenti del corpo, anche quando non hanno un significato allegorico ma sono solamente forme, geometrie e linee che cambiano continuamente, si relazionano con lo spazio. Sta poi a chi guarda, se vuole, l’interpretazione di quello che il danzatore porta in scena, di questo corpo che nella sua semplicità crea infinite realtà. Ed è proprio la ricerca della pura forma ciò che guida e unisce Danze Americane e Nubla, le due performance andate in scena una di seguito all’altra, come due capitoli di una stessa storia. 

Immaginatevi di entrare in una sala a teatro, sedervi sulla vostra poltrona e vedere un danzatore in scena che si sta riscaldando, che guarda il computer ogni tanto, anch’esso ben visibile in scena. Poi spiega a voce, con un tono freddo quasi come se stesse leggendo una didascalia, in cosa consiste Danze Americane: un insieme di sette sequenze tecniche di cui, in questa versione ridotta della performance, verranno rappresentati solo tre estratti: «una di tecnica Limón, un pezzo ispirato a Trisha Brown, infine un adagio di tecnica Cunningham». Ciascun pezzo viene eseguito prima senza musica, poi con la musica e, infine, funge da base su cui il danzatore può sperimentare liberamente. Questi sono i tre maestri che – ci ricorda Favale – lo hanno formato come danzatore e coreografo.
Far entrare il pubblico nella propria pratica è un’operazione delicata soprattutto nel silenzio e soprattutto se tra il pubblico non ci sono solo esperti del settore. Favale ci riesce dando vita a un gioco tra corpo, linee da esso create e spazio (la musica c’è, anche se non sempre, ma potrebbe anche non esserci). Qui il vero protagonista è il corpo, un corpo che si muove e che, nel suo movimento, instaura una  connessione sempre più stretta con gli spettatori. Ciò che più colpisce di questo corpo è ciò che esso riesce a fare quando si verifica il passaggio dalla sequenza alla sperimentazione: nell’improvvisazione il movimento e le linee delle tecniche dei maestri continuano a vivere nel corpo dell’allievo sebbene lui abbia ormai un proprio linguaggio personale. Questi continui rimandi e “ritorni ai propri maestri” non sono altro che una testimonianza ben visibile agli occhi dello spettatore del continuo scambio tra generazioni, tra maestri e allievi, e sottolineano l’importanza di ritrovare le proprie radici. 

foto: Sara Deidda

Anche Giulio Petrucci e Jari Boldrini tornano al proprio maestro per creare Nubla. Come raccontano nella conversazione dopo lo spettacolo, Favale ha trasmesso loro le sperimentazioni eseguite sulle sequenze di Danze Americane e i due danzatori, a partire da quello, hanno creato un passo a due in cui giocano con le linee, con il corpo dell’altro e, anche se indirettamente, con una nube che dall’alto scende al centro del palco. Qui il gioco cambia perché le linee del maestro e dei maestri di seconda generazione sono meno riconoscibili e chiare, seppur sempre presenti. Inoltre, al movimento del singolo corpo si sostituisce la dinamica creata da due corpi che sono in relazione tra di loro sia quando sono distanti sia quando si intrecciano. Ciò che più stupisce della performance sono proprio i momenti di contatto: Giulio e Jari danzano, quasi come se non interagissero, e poi compiono lo stesso movimento in sincronia, oppure inaspettatamente si avvicinano fino a far toccare i loro corpi o, ancora, quando si toccano rimbalzano in una maniera quasi meccanica. 

Se, dunque, relazionarsi oggi con una danza di pura e semplice espressione dei corpi è più raro che in passato, i tre danzatori ci sono riusciti benissimo. E l’estetica dei loro gesti, muovendosi tra tradizione e innovazione, ha parlato a tutti noi spettatori ricordandoci quanti mondi infiniti può creare.

Andreea Elena Gabara


in copertina: foto di Sara Deidda

DANZE AMERICANE
coreografia e danza Fabrizio Favale
set, costume e art work First Rose
co-produzione Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, Festival Danza in Rete, MILANoLTRE Festival, KLm – Kinkaleri / Le Supplici / mk
con il contributo di MIBAC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna
con il sostegno di h(abita)t – Rete di Spazi per la Danza
il progetto è stato realizzato con il contributo di ResiDanceXL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche, azione del Network Rete AnticorpiXL
lavoro selezionato alla NID – Platform 2023

NUBLA
ideazione Fabrizio Favale
una collaborazione Fabrizio Favale & C.G.J. Collettivo Giulio e Jari
coreografia e danza Jari Boldrini e Giulio Petrucci
musiche originali Simone Grande
assistenza tecnica Gerardo Bagnoli
produzione KLm – Kinkaleri / Le Supplici / mk
co-produzione MILANoLTRE Festival
con il contributo di MIBAC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Bologna
lavoro selezionato da ResiDanceXL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche, azione del Network Anticorpi XL
residenze artistiche Cango Cantieri Goldonetta


Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2024