«Siete felici?» chiede uno stremato insegnante ai suoi alunni, in un momento di inaspettata calma nella classe. È questo lo zeitgeist, la svolta nel corso di teatro, o Tecniche di Lavoro di Gruppo (come i genitori vogliono che si chiami) della scuola media di una piccola cittadina. Solo di fronte a quella domanda, una classe di undicenni inizia a riconoscere la figura del maestro. Fino ad allora, infatti, le lezioni erano state per lui una continua ricerca di approvazione, cercando di fare breccia nelle menti di questi giovani; spesso culminanti in frasi molto imbarazzanti, come l’urlo «Viva la cultura!», lanciato in piedi sulla cattedra in un momento di subbuglio all’inizio dell’avventura. Queste due frasi potrebbero racchiudere non solo il cambio della percezione del professore da parte degli alunni, ma anche la presa di coscienza di quest’ultimo sul modo di connettersi davvero con loro. 
Con Tecniche di Lavoro di Gruppo – Appunti per uno schiuma party, Pietro Cerchiello, con la regia di Ariele Celeste Soresina, mette in scena un monologo sugli avvenimenti capitatigli nel primo anno del corso di teatro tenuto in una classe di undicenni. Sulla terrazza della Birreria La Ribalta, dove soprattutto al calar del sole lo sferragliare dei treni fa da contorno a un’atmosfera conviviale, va in scena lui stesso, che vuole organizzare un laboratorio teatrale durante il quale succede di tutto, dove l’apprendimento di tecniche di recitazione si inserisce alla perfezione nelle dinamiche sociali degli alunni. Proprio questi ultimi sono i coprotagonisti della storia, tutti interpretati dallo stesso Cerchiello, solo in scena per l’intera rappresentazione, che riesce in modo puntuale e diretto a ricreare i loro caratteri, già imbevuti di forti idee politiche e proprietà di linguaggio, talvolta quasi troppo adulte. In questo modo, ogni scontro o ragionamento è sproporzionato rispetto alla loro età, generando ilarità tra il pubblico. Esemplare è il momento in cui un alunno, durante la prima lezione, afferma: «Tu sei quello del teatro? (…) Io teatro non lo faccio, perché è vecchio, noioso e l’ha inventato B. Mussolini!», chiarendo subito le sue idee. Alcuni momenti di riflessione, però, riescono a ritagliarsi uno spazio tra le risa, come quando, durante la lettura delle poesie scritte durante le vacanze natalizie, un altro alunno copia parte di Fottuti per sempre dello Stato Sociale. Pur tralasciando gli estremi, si tratteggia il quadro generale di una classe maleducata, che non riconosce il ruolo dell’insegnante. Eppure, con il proseguire dello spettacolo, il docente riesce a comprendere i meccanismi della classe e, anche se a fatica, controllarli.
Il tutto avviene in uno spazio scenico molto ristretto e scarno, delimitato da quattro blocchi di fogli di carta che di volta in volta vengono spostati, sotto il peso di altrettante pietre, e un microfono sullo sfondo. Così, lo sguardo dello spettatore si concentra e allarga a seconda della necessità, facendo sembrare il palco sempre della misura perfetta. Cerchiello disegna così spazi, persone e umore grazie ai suoi movimenti e alla sua energia, cercando sempre di spronare i ragazzi e il pubblico. «Forza! Toglietevi le scarpe e salite sul palco!» invita fin dal principio, tanto che qualcuno poi si toglie davvero le scarpe. L’entusiasmo è uno dei punti di forza dello spettacolo, che galleggia tra la volontà di una partecipazione attiva del pubblico e il suo semplice ascolto, facendo scordare l’ingombrante suono della ferrovia e il freddo della sera che si avvicina. 
La posizione dei ragazzini, però, sembra rimanere pressoché inscalfibile: «Qui non c’è niente da raccontare. (…) perché per noi non sarà cambiato nulla. Sarà sempre uguale, per questo il teatro è la cosa più finta e inutile che ci sia», dice uno di loro, appena si inizia a percepire che il laboratorio possa sfociare in uno spettacolo vero e proprio. Questo stato d’animo pervade tutta la classe, e anche l’insegnante, che sente la presa sugli alunni sfaldarsi. Alla fine dell’anno scolastico, però, incontra quell’alunno che si era posto così duramente nei suoi confronti: proprio lui suggerisce che il lavoro insieme non è stato vano, in qualcuno il teatro ha creato uno spiraglio. Infatti, in maniera inaspettata, gli confida il suo sogno, facendo rinascere la speranza in tutti: vuole diventare un attore, fare carriera e un giorno ritrovare il professore in platea, guardarlo e sorridere, rispondendo indirettamente a quella domanda che gli era stata posta tempo prima: «sì, saremo felici».

Giacomo Matelloni 


immagine di copertina: foto di Komorebi

TECNICHE DI LAVORO DI GRUPPO – APPUNTI PER UNO SCHIUMA PARTY
di e con Pietro Cerchiello
regia di Ariele Celeste Soresina

La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025