di Martin McDonagh
Regia di Juan Diego Puerta Lopez
Visto al Tieffe Teatro di Milano _ 29 gennaio-10 febbraio 2013

Coleman e Valene, i due fratelli protagonisti di Occidente solitario, piéce del regista e commediografo inglese Martin McDonagh, vivono in un desolato paesino della provincia irlandese segnato da violenti fatti di cronaca: omicidi e suicidi si susseguono a catena, arrivando a coinvolgere anche la loro famiglia. A interpretarli sono Claudio Santamaria (provocatore e crudele Coleman) e Filippo Nigro (infantile e isterico Valene): i loro nomi, già noti tra piccolo e grande schermo, attirano un pubblico ben più ampio e variegato dei consueti abbonati del teatro.

In scena è rappresentato l’eterno conflitto tra i due fratelli: dopo la morte apparentemente accidentale del padre (si scoprirà poi che è stato Coleman a ucciderlo, indispettito dai continui scherni sulla sua capigliatura), entrambi vivono nella casa di Valene in un clima selvaggio e violento, fatto di menzogne e meschine vendette. Valene pensa solo a marcare quello che c’è in casa con una V per rivendicarne la proprietà: dal cibo alle statuine della Madonna di cui fa una minuziosa e stravagante collezione, di tutto controlla gelosamente l’uso e non vuole che nulla sia toccato dal fratello. Coleman, dal canto suo, partecipa ai funerali solo per poter mangiare ai buffet, divora e beve le riserve del fratello, mostra patologici segni di sadismo (ha tagliato al cane di Valene le orecchie, cuoce le statuine della Madonna nel forno …). In questo universo primitivo e disperato, neanche ai personaggi secondari spetta una sorte migliore: padre Welsh/Walsh (il suo nome è deformato di continuo), bevitore incallito tormentato da periodiche crisi di fede, constata il fallimento della propria missione in una parrocchia segnata da violenze e lutti continui; una Ragazzina – McDonagh non le concede neanche il privilegio di un nome – vive contrabbandando whisky a domicilio e cerca invano di salvare padre Welsh/Walsh dall’estremo gesto del suicidio.

Santamaria e Nigro si confermano ottimi interpreti. Entrambi riescono a far emergere l’aspetto crudelmente infantile del conflitto fraterno: come bambini si minacciano, si picchiano in modo spietato per i motivi più pretestuosi per poi ritrovare all’improvviso una tregua momentanea. Nigro, in particolare, gioca su un’ottusa ripetitività per disegnare un personaggio limitato e sgradevole: Valene ripete maniacalmente tutto ciò che gli viene detto, come se non capisse mai le parole che gli sono rivolte. La pur meritevole interpretazione di Massimo De Santis e Nicole Murgia – messa in ombra dall’efficace duo – non può che risultare un po’ in minore, meno brillante e ritmata.

La regia, tutta costruita intorno alla performance degli attori, sembra talvolta disinteressarsi di una coerenza d’insieme. L’ambientazione in Irlanda, per esempio, appare del tutto pretestuosa: la cornice dell’azione resta non ben precisata – se si trascura la cadenza ostentatamente romana dei due attori – e il testo viene sradicato da quel contesto irlandese dove religione, politica e società sono indissolubilmente intrecciate.
Si ha poi l’impressione di un eccessivo ammiccare allo stile televisivo: lo spettacolo non risparmia turpiloquio, urla, sketches, rutti e botte, quasi a voler conquistare risate e gradimento immediato da parte del pubblico. Insomma Juan Diego Puerta Lopez, nell’intento di far ridere, finisce per tradire il cinismo e la drammaticità del testo, che sfocia così nel farsesco e nonsense. E anche la scenografia, seppur ben studiata, risulta troppo descrittiva e didascalica per una black comedy così delirante e surreale. Qualche scelta più sperimentale e meno prevedibile avrebbe certo giovato.

Alessandra Cioccarelli