Lo confesso subito, per onestà: Amelia Rosselli è una delle mie poetesse preferite, nonché una delle mie personalissime divinità minori negli anni dell’adolescenza. Quando ero più giovane, con la copertina di una vecchia edizione de La Libellula su cui appariva un suo trasognato ritratto in bianco e nero, ho persino costruito un altarino a lei dedicato, tra le cianfrusaglie del mio quotidiano. Di tanto in tanto, nei giorni gravidi di azzurro pallido o pungolati da un piccolo strazio rosso e innamorato, la pregavo, trasformando i suoi versi in litanie religiose: «Lascia credere che la luce sia un eterno paragone!». O anche: «Dissipa tu se vuoi la mia eterna ricerca del bello e del buono e dei parassiti».
Per questo, mi sono avvicinata a E ora parliamo di Amelia – la creazione del duo Lanavebellezza, formato da Roberta Lanave e Camilla Sandri Bellezza – come a un’amica adorata e che non vedevo da tempo, con la gioia tipica di rincontrare qualcuno di caro e tutti i sentimenti del caso.
E ora parliamo di Amelia è una performance che non vuole propriamente presentarsi come un’opera dall’andamento canonico: è, invece, dichiaratamente un’indagine affettuosissima, un dialogo aperto, un quasi simposio in cui – geniale, fragile e stravolta – Amelia Rosselli è narrata nelle sue vesti di poeta, di musicologa, di donna, figlia, sorella. Sono portati sul piccolo palco messo a disposizione dal locale Hug, nel quartiere di Nolo, materiali dal racconto Storia di una malattia, che osservano una schizofrenica Amelia convinta di essere perseguitata dalla CIA tra gli anni Sessanta e Settanta, insieme a brani tratti dal suo iconico poemetto La libellula e interviste video per mostrarla al pubblico come creatura viva e senza intermediari.
Lanave e Sandri Bellezza in scena sono brave, affiatate, attentissime a ogni sospiro o strillo: misurate quando conviene, vere quando si addice, solenni o oltremodo straziate al momento giusto. Creano una polifonia di immagini potenti e suggestioni-fremiti dai toni e dalle durate variabili, ma senza individuare del tutto una vera curva drammatica, un cuore drammaturgico che dia unità o una qualche forma narrativa all’opera. C’è il rischio di rimanere incastrati in dimensioni frammentarie, in una dissonanza piuttosto che una sinfonia. Quella musicalità, quella piacevolezza seduttiva con cui la poetessa architettava il suo disordine, non si manifesta con costanza. Restano comunque, momenti intensi, pieni d’amore, preziosissimi, come quando Lanave si sgola e accascia sulla scena ripetendo i versi E io ti chiamo sirena… o quando il pubblico viene coinvolto in una specie di preghiera poetica, nella lettura corale di una poesia, che gli viene offerta – ripiegata in forma di lettera – al momento dell’ingresso in sala. Si può allora rileggere in questi segni una precisa scelta registica che ha trovato un modo di restituire al pubblico la schizofrenia che pulsava nella biografia e nella testa di Amelia.
Sara Buono
immagine di copertina: foto di Davide Aiello
E ORA PARLIAMO DI AMELIA: ESSERE COME VOI NON È COSÌ FACILE
Una creazione di Lanavebellezza
di e con Roberta Lanave e Camilla Sandri Bellezza
La recensione fa parte dell’osservatorio critico dedicato a FringeMI Festival 2025