Nel ripensare allo spettacolo, non solo appena usciti, ma anche qualche giorno dopo, non si può non ricordarne l’intricato intreccio di mani, braccia e corpi, che con un ritmo instancabile e perpetuo si toccavano, sollevavano e trascinavano sul palco durante l’intera rappresentazione. Un continuo tentativo di superare la gravità, la velocità dei propri corpi e soprattutto se stessi, cercando di arrivare sempre più lontano e in alto. 

Fa registrare il tutto esaurito, o quasi, la prima di Forma Mentis e Holy Shift della compagnia Spellbound, che apre l’edizione 2025 del Festival MILANoLTRE. I due spettacoli, diretti rispettivamente da Jacopo Godani e Mauro Astolfi, richiamano un pubblico eterogeneo e diversificato, che sembra restituire l’immagine di una città che vuole vedere danza, anche per la prima volta. 

All’apertura del sipario, l’attenzione non va solo ai nove danzatori sparsi sul palco, vestiti con tute e maglie senza maniche dai colori a tinta unita solida. Lo sguardo è catturato immediatamente dall’unica figura seduta: un fisarmonicista. Prima ancora di mettere a fuoco quanti siano gli interpreti in scena, una voce innesca il movimento. I performer si dispongono e si ricompongono sullo spazio scenico come un mantice di fisarmonica, dividendosi in gruppi, coppie o assoli. Si danno il ritmo con la voce e battiti di mani, in dialogo costante con lo strumento musicale. Sarà proprio questo connubio tra movimento e musica dal vivo che legherà l’intera coreografia che Jacopo Godani lascia nelle mani (e nei corpi) della consolidata e giovanissima compagnia.

Lo spazio è un cubo vuoto, luminoso e molto glitterato che catapulta lo spettatore in una sala prove con eventi e incontri che si susseguono, rincorrono e richiamano un training comune e quotidiano. Superato il pezzo corale, si alternano coppie che esplorano nuovi confini e relazioni, alternando momenti di ricerca reciproca e attrazione a spinte di rifiuto e distanza. Con movimenti che richiamano il balletto classico, superando, però, la sua lirica per entrare nell’epoca della trap. In questo pendolo compositivo, la scena esalta il corpo performativo, atletico e fluido, concentrando l’attenzione dello spettatore sulla tensione continua, alternata a un rilassamento che permetteva al pubblico di sentire il respiro affannoso dei danzatori, risaltando la loro capacità di resistenza sotto sforzo. 

Un movimento ondulato che raggiunge il suo apice durante la conclusione del primo pezzo, in cui tutti i danzatori, riprendendo il ritmo e l’energia dell’apertura, circondano il fisarmonicista. Con un gesto improvviso che tronca la musica, il musicista si alza in piedi, facendo cadere a terra chi lo aveva accerchiato.

Dopo un breve intervallo, la rappresentazione riparte con Holy Shift di Mauro Astolfi che porta il pubblico in una dimensione ignota, ma ben definibile anche grazie ai costumi dei danzatori. Rispetto allo stile casual del primo atto, in questo indossano una tuta a pezzo unico, che ne annulla quasi totalmente le diversità. Se nel primo lavoro le linee del balletto venivano “sporcate” e, quasi caoticamente, mescolate, in questo secondo lavoro, tutto ritorna a una precisa struttura dello spazio e della narrazione coreografica. Si nota, infatti, una severità maggiore nei loro movimenti, la fluidità ora anticipa un’affilata e tagliente denuncia al dramma umano. La conformazione spaziale dei corpi, la loro messa in relazione unita alle musiche selezionate e a un preciso e significativo disegno luci che divide lo spazio in geometrie chiare e definite, si traduce in un’atmosfera cupa e militaresca, priva dello slancio vitale e gioioso centrali nella precedente coreografia. 

Questa tensione latente trova il suo apice nei momenti di coppia, in cui si percepisce, oltre alla figura di un protagonista, la creazione di una relazione, spazzata via in poco tempo proprio dalla disumanità della guerra. Di conseguenza, il contatto tra danzatori diventa reale e l’ascolto tra di essi è materia palpabile. Il partnering ora non serve più solo a slanciarsi più lontano, ma a farsi forza e a sentire la vitalità e la vicinanza dell’altro. Non solo in scena, forse anche nella vita? 

Uno a uno, i compagni cadono e sono accettati in un Aldilà, che si trova dietro le quinte, nascosto anche agli occhi degli spettatori. Eppure, è proprio in questi momenti di estrema tristezza e tensione, in cui l’animo di un uomo si ritrova disarmato di fronte alla perdita di un compagno, che il pubblico può immedesimarsi con il performer, reso umano e inerme verso qualcosa di più grande di lui. È esemplare l’atto conclusivo, in cui il protagonista, come in un sogno, rivede tutti i commilitoni e prova, senza successo, a fermarne le anime, che avanzano verso l’ignoto, venendone trascinato. Eppure, nell’istante finale, il protagonista viene rigettato fuori dalle quinte, ricordandoci che il suo momento, come il nostro, non è ancora giunto e che bisogna combattere per un futuro migliore.

Il lungo applauso finale del pubblico sottolinea l’emozione per i due lavori coreografici che, pur nelle differenze sembrano aprire nuove domande sulla contemporaneità, dove sta puntando il mirino della danza, cosa vuol vedere lo spettatore, la luce o il buio? Il virtuosismo o la storia? E se guardassimo alla nostra storia oggi, cosa vedremmo? Spellbound Contemporary Ballet sembra ricordarci che il palcoscenico è il luogo in cui convivono le tensioni del nostro contemporaneo.

Giacomo Matelloni

Forma Mentis
coreografia, art direction, disegno luci e costumi Jacopo Godani
con Maria Cossu, Giuliana Mele, Lorenzo Beneventano, Alessandro Piergentili, Anita Bonavida, Marco Prete, Martina Staltari, Miriam Raffone, Filippo Arlenghi, Alfonso Risoli
musiche originali Ulrich Müller
assistente alla coreografia Vincenzo De Rosa
produzione Spellbound
in collaborazione con Comune di Pesaro & AMAT per Pesaro Capitale italiana della Cultura 2024, Festival Torinodanza

Holy Shift
coreografia e regia Mauro Astolfi
con Maria Cossu, Marco Prete, Martina Staltari, Miriam Raffone, Filippo Arlenghi, Lorenzo Beneventano, Alessandro Piergentili, Anita Bonavida, Giuliana Mele
disegno luci Marco Policastro
musiche originali Davidson Jaconello
costumi Anna Coluccia
assistente alla coreografia Elena Furlan
produzione Spellbound
con il contributo del Ministero della Cultura

foto di © Cristiano Castaldi

Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2025