Regia di Serena Sinigaglia – ATIR
Visto al Teatro della Luna di Milano_ 27 Aprile-1 Maggio
Il ritorno a “Romeo e Giulietta”, per Serena Sinigaglia e la sua compagnia ATIR, è come un pellegrinaggio ai luoghi dei primi incontri per una coppia di innamorati. Quindici anni dopo: stessi attori nei ruoli principali, stessa poetica, ma in mezzo un lungo percorso umano e artistico affrontato insieme. Gli spettatori più fedeli all’ATIR – quelli che non si sono persi “Di a da in con su per tra fra Shakespeare”, conferenza-pièce di Serena Sinigaglia tra autobiografia e metateatralità– hanno avuto la possibilità guardare lo spettacolo con un doppio filtro. La regista rievocava infatti particolari e aneddoti di quella prima avventura, le riflessioni sulla scelta del testo più abusato della storia del teatro, la nascita di una compagnia destinata a durare, i primi problemi con la critica e le scommesse vinte, come quella di affidare il ruolo della vecchia nutrice alla bellissima Pilar Pérez Aspa, e Giulietta ad Arianna Scommegna, physique du rôle ben più adatto a Molli e a Cleopatràs che alla ingenua e spaurita fanciulla shakespeariana. “Per la prima volta scoprivo quanto vicina e toccante può essere la parola di un poeta, quanta concreta semplicità, quanta vita dentro le sue storie, quanta parte di me dentro i suoi versi”, raccontava allora sul palco la regista.
E proprio in queste parole, apparentemente ovvie, sta il segreto del vitale bardo messo in scena dalla Sinigaglia: un testo che, attraversato dalla biografia della regista e degli attori, dalla loro carne e dalla loro autenticità, non ha bisogno di essere scomposto e decostruito per essere rimesso in vita.Basta questo a spiegare il successo dello spettacolo, pur in un contesto – quello del Teatro della Luna, regno di “Flashdance” e di “Cats” – ben diverso dal Teatro Ringhiera o dal Piccolo Teatro, dove la compagnia è abituata ed esibirsi. Ma Shakespeare, in mano alla Sinigaglia (che non ha paura di scelte “pop” se la regia le chiama), si fa comico, quotidiano, vicino, straordinariamente fruibile: e del resto – così recitano le note di regia – “non c’è cultura se non c’è una chiara connessione con la vita vissuta”.
Oltre all’energia e alla sempre dinamica presenza degli attori (oltre ai 9 interpreti, i 10 iperattivi membri del Coro) ottiene questo risultato anche la sapiente operazione drammaturgica, capace di trasformare gli sterminati monologhi degli innamorati in un movimentato canone a due, o di mutare in flashback – come in un montaggio cinematografico – alcune scene “di servizio”, come la lunga raccomandazione del Frate mentre fornisce a Giulietta la pozione. Serena Sinigaglia fa giustamente i conti con il fatto che ogni spettatore conosce la storia (merito di Leonardo di Caprio?) e screma il superfluo: così l’inevitabile stanchezza che sopraggiunge quando la macchina tragica si è ormai messa in moto e fa il suo arcinoto corso, viene attenuata fino quasi a sparire (se si esclude il fisiologico affaticamento di due ore e quaranta di spettacolo). Allo stesso modo, la scenografia di Maria Spazzi è di straordinaria efficacia proprio nella sua semplicità: fili, teli dai colori caldi appesi come panni, tavoli che divengono balconi e letti a baldacchino, una scena che si allarga e si restringe grazie l’azione di un telo bianco, che scorre per il palco come una vela.
E su come possa un’attrice matura e completa come Arianna Scommegna trasformarsi in una commovente e sempre credibile quindicenne, provare per credere.
Maddalena Giovannelli