Si sente dire spesso che i festival sono soltanto vetrine. Ma il teatro non è merce, non è fast fashion, nonostante si sia indotti a pensare il contrario: il numero delle repliche si riduce, le tournée diventano un lusso, e a pagarne le conseguenze sono artiste e artisti, soprattutto quelli più giovani, che speso provvedono con le proprie tasche ai costi della circuitazione. A Hystrio Festival, nelle sale del Teatro Elfo Puccini di Milano (che per il quarto anno ospita la rassegna promossa dalla rivista Hystrio), attori e spettatrici, operatori e registe si mescolano tra loro, conversano e si confrontano, intessono relazioni. Ed è soprattutto la realtà, con le sue forme e contraddizioni, ad animare molti dei lavori presentati durante il festival. In questa direzione risulta particolarmente rilevante l’incontro-scontro tra reale e finzione attraversato in A.L.D.E. non ho mai voluto essere qui del regista, autore e attore romano Giovanni Onorato.
Entrando in sala, troviamo Onorato già in scena, in attesa che il pubblico si sieda in platea: un microfono al centro, a terra alcuni quaderni chiusi, mentre sullo sfondo l’attore e musicista Mario Russo presiede la postazione musicale. Onorato utilizza l’escamotage del manoscritto ritrovato, un espediente certo non nuovo nel mondo della letteratura: questa volta però nessun Cide Hamete Benengeli dal Don Chisciotte, né l’Adso da Melk del Nome della Rosa, non l’anonimo del Seicento del Manzoni, ma semplicemente un amico dell’autore, Arduino Luca Degli Esposti (A.L.D.E.) Un nome evocativo, non meno altisonante dei precedenti illustri, per un autore morto suicida gettandosi sotto un treno. Il corpo di Arduino si è frantumato a contatto col convoglio, di lui sono rimasti soltanto pezzi di vita nelle pagine dei suoi quaderni scritti a mano, raccolti da Giovanni e consegnati al palcoscenico. Il narratore procede alternando il racconto aneddotico sull’amico scomparso alla lettura ritmica dei suoi scritti. Le parole di Arduino sono costantemente raddoppiate dall’accompagnamento musicale di Mario Russo (le composizioni sono firmate anche da Lorenzo Minozzi). Il musicista non si limita all’esecuzione dei brani, ma, dopo un silenzio iniziale, instaura gradualmente un rapporto dialogico con Onorato: prima solo sonoro, trasformato poi in uno scambio di battute serrato tra i due performer, capace di mettere sempre più l’attore di fronte alla scomodità della verità, dell’onestà che bisogna avere nei confronti di coloro che scelgono di affidarsi a una narrazione, a una storia. I movimenti di Giovanni Onorato sembrano costretti, appena accennati, come se una forza invisibile, un alter ego sopito, lo trattenesse dall’esplodere: «io sono come il sole, fuori splendo e dentro brucio vorrei solo dire aiuto» recita un verso estrapolato da uno dei numerosi quaderni. La richiesta di aiuto viene veicolata drammaturgicamente dalla parola poetica, che trova la sua dimensione ideale nel canto rap, accompagnato e scandito dal beat realizzato da Russo.
Con A.L.D.E., Onorato affronta il tema del rapporto dell’autore con la propria opera in modo non convenzionale, mescolando un approccio crepuscolare, più intimista, a uno più ermetico, labirintico. Le parole di Arduino esprimono i suoi disagi, le sue preoccupazioni, il suo continuo interrogarsi sulla vita e sul senso degli eventi che accadono, specchio di una dimensione intima che però, come la vera poesia, abbandona il “suo” in funzione del “nostro”. In un celebre documentario Rai del 1968, Giuseppe Ungaretti rivolgendosi a un bambino definisce poeta chi «ha delle cose da dire agli altri, che sono degli altri come sono sue». In questo senso, la parola poetica di Arduino nell’interpretazione di Onorato tende verso una dimensione universale, pur derivando da esperienze di vita personali: «le poesie si pongono sempre come enigmi, a volte sembra quasi che riguardino solo chi le scrive, eppure le storie che ci sono dietro si rivelano sempre “umane” nel senso più ampio del termine» scrive Onorato nelle note di regia.
L’artista romano compie poi un passo ulteriore, e con un plot twist rivela allo spettatore il trompe-l’œil drammaturgico: i quaderni sono bianchi, Arduino non esiste. Assistendo allo spettacolo, in effetti, si ha sempre la sensazione che qualcosa non torni, che il racconto celi una menzogna iniziale: «Mentire?! Mentire bene, ingannare il pubblico […] Mentire male apposta per lasciar intendere» recita un altro verso di Arduino-Onorato. Arrivati alla fine, qualcuno potrebbe sentirsi beffato dal gioco dell’autore, perfino tradito nel patto implicito tra attore e pubblico. In fondo, sapere che si sta assistendo al racconto di una storia vera è soltanto una forma di rassicurazione, un salvagente che, da spettatori posti in balìa del racconto a cui assistiamo — e di chi lo veicola e lo incarna — apprezziamo di poter tenere vicino. L’abilità dell’attore-autore romano gli consente di poter governare differenti piani narrativi, i quali si contaminano e si intersecano tra loro: in superficie, per la maggior parte del tempo, c’è Onorato che interpreta i testi di Arduino. In un altro, forse nel passato, Onorato veste i panni di un vecchio detective — figura estrapolata e riplasmata a partire dai numerosi personaggi-detective creati da Roberto Bolaño — che, fumando sotto una pioggia illusoria, rammenta un caso irrisolto del 1979, «il caso dei quaderni bianchi». Passato e presente si collegano e consentono allo spettatore di affacciarsi su molteplici mondi drammaturgici. La multidimensionalità di A.L.D.E. non si ferma solamente al piano della realizzazione scenica, ma supera i confini fisici del teatro, e sfocia in un progetto multimediale, che si apre a varie rielaborazioni mediali: un album su Spotify, videoclip su YouTube, la pubblicazione di una raccolta di prose liriche, che ha come sottotitolo Per una nuova vita, a evidenziare forse uno stato di continuo cambiamento dell’opera come dell’autore. «Ho bisogno di risolvermi» scrive Onorato in quelle pagine, «di risolvere l’enigma che sta dietro al divenire».
A.L.D.E. è uno progetto chimera, che unisce molteplici elementi: dalla danza contemporanea, al rap, alla stand-up comedy. Non mancano infatti i momenti in cui il canto lascia spazio a una tagliente ed esplicita ironia, cifra stilistica dell’attore romano, già messa a fuoco e sviluppata nel suo precedente lavoro, Suck My Iperuranio (2022). La canzone finale, l’unica non suonata dal vivo, è una registrazione dal precedente progetto musicale di Onorato, e recita «ciao mondo, vado a fare qualcos’altro». Questo saluto finale suona come un passaggio di testimone a sé stesso, nella continua ricerca di un movimento interiore che possa tradursi in un continuo rinnovamento. Il Giovanni che ci sta di fronte in A.L.D.E. è lo stesso Onorato di qualche anno fa, ma appare oggi come l’esito di una continua evoluzione, di un divenire appunto, della voglia mai doma di sperimentare nuovi generi e nuove contaminazioni.
Tommaso Quilici
in copertina: A.L.D.E., foto di Chiara Corradini
A.L.D.E. Non ho mai voluto essere qui
ideazione e direzione Giovanni Onorato
con Giovanni Onorato e Mario Russo
musiche Mario Russo, Lorenzo Minozzi
disegno luci Fabrizio Cicero
costumi Chiara Corradini
consulenza alla drammaturgia Claudio Larena, Giulia Scotti
si ringrazia Daria Deflorian per il prezioso sguardo
coproduzione Index, Romaeuropa Festival
residenza produttiva Carrozzerie n.o.t
con il sostegno di Angelo Mai Occupato, Ex-Mercato di Torre Spaccata, Fienile Fluò, Settimo Cielo, Teatro Biblioteca Quarticciolo
per INDEX Valentina Bertolino, Francesco Di Stefano, Silvia Parlani
fotografie Chiara Corradini
ambientazione Ileana Alesi
vincitore della menzione speciale Premio tuttoteatro.com Dante Cappelletti
finalista Biennale College e Premio Alberto Dubito