a cura della Redazione
 
La periferia più pericolosa, la Babilonia di Scampia e il mal governo della camorra sono finiti sulle prime pagine di tutto il mondo con Gomorra di Matteo Garrone, il film vincitore del grand prix a Cannes 2008, tratto dal romanzo bestseller di Roberto Saviano. “La violenza è sempre in campo, la meccanica della corruzione di ogni umanità da Scampia, dai cortili, dagli anfratti delle Vele, passa a rappresentare l’avidità universale”, scrive Paola Piacenza, critico cinematografico. Raccontare quella periferia, quelle vite cui la predestinazione sembra aver giocato un beffardo tiro, fatto di droga e disumanità, non è mai stato così importante. E il risultato è tanto più incredibile perché di così lucida e trasparente verità, antidoto a ogni retorica.
Lo sa bene Marco Martinelli, che con gli stessi adolescenti, attori inconsapevoli del dramma di Gomorra e di quello più crudo, delle loro esistenze, lavora, a teatro, dal 2005. Arrevuoto è il nome del progetto che ha portato centinaia di ragazzi sul palco a recitare Aristofane, Jarry e Molière e ad assaggiare cosa può essere la vita fuori dal girone infernale della quotidiana degradazione dell’hinterland napoletano. Partiamo da qui per tornare a raccontare il rapporto tra teatro, territorio e periferia, seguendo il filo tracciato nello scorso numero di “Stratagemmi”, interamente dedicato alle periferie milanesi.
Abbiamo lanciato un bando che invitava nuovi collaboratori da tutta Italia a proporci storie e ritratti che raccontassero avventure e disavventure del teatro quando si trova a vivere lontano dai grandi centri, a farsi interprete dei territori liminali in cui si è Istantanee su centro, periferia e integrazione insediato. Grazie agli articoli e alle interviste che ci sono stati inviati, presentiamo un quadro delle più diverse realtà. Un percorso cha da Scampia passa per la Puglia, le Marche, il Lazio, fino a risalire in Liguria e Piemonte, per poi tornare in Lombardia e uscire dai confini nazionali fino alla Spagna e oltre oceano. C’è l’innovativo progetto Città invisibili, che da Fara Sabina, piccolo borgo in provincia di Rieti, ha portato in giro per città, periferie e territori di tutto il mondo la sua visione di “teatro fuori dal teatro”, in grado di trasformare gli spazi urbani dimenticati o degradati. C’è l’esperienza di Luigi Minischetti, regista e attore pugliese che ha scelto la sua San Giovanni Rotondo per fare teatro: lì, tra testimonianze e memoria, la gente si raccoglie nei cortili per ascoltare la vicenda della vecchia miniera di bauxite. E, proprio perché le declinazioni del rapporto tra teatro e territorio sono infinte e sempre sbalorditive, ecco Tonino Conte, direttore artistico del Teatro della Tosse di Genova: quando il centro è considerato la periferia culturale di una città, come è possibile ricostruire il rapporto con il luogo e gli spettatori? Da Montemarciano in provincia di Ancona e da Pinerolo, alle porte di Torino, due interviste che lasciano intravedere lo spaccato di un lavoro sul territorio faticoso ma soddisfacente, se il rapporto con le istituzioni è fecondo e collaborativo. Da ultimo, un salto fuori dai confini nazionali, con l’esperienza dell’Impacta Teatre di Barcellona: un giovane gruppo di operatori teatrali, psicologi e attori che lavorano a stretto contatto con i collettivi a rischio della metropoli spagnola, su esempio del metodo inventato dal brasiliano Boal. Centro, periferia e integrazione: tre parole chiave che permettono di raccontare e interpretare tante storie. Storie che in questi mesi hanno attratto anche i copioni del cinema d’autore e le penne dei critici. La Palma d’oro di Cannes 2008 è andata al film Entre les mures di Laurent Cantet: le vicende del penultimo anno di un liceo in un qualsiasi sobborgo di una qualsiasi grossa cittadina francese, dove i problemi all’ordine del giorno sono, appunto, l’identità, l’integrazione, la possibilità di sentirsi centro in un microcosmo di cui non si conoscono le coordinate.